Sono in compagnia dei miei amici quando passo davanti alla locandina ed associo il nome del regista (Scott) al genere fantascienza e capisco che quello che sta per cominciare non è il primo tempo di "Prometheus" ma l’inutile e ridicolo embrione, con tanto di occhialini del cazzo, di ”Alien“. 12 euro molto ben spesi, quasi come le venti noccioline elargite da Moratti per accaparrarsi il talento di un bidone che all'anagrafe fa Vampeta. Il resto della serata l’ho passato ad insultare me, reo aver scelto il film, e Ridley Scott per la porcata partorita. Il giorno successivo, forse per ripicca nei confronti del regista, ho sentito la necessità di sciacquarmi la bocca con l‘Alien con la esse: quello di James Cameron. Uno di quei rarissimi casi cinematografici in cui un sequel riesce a tenere testa alle vette di un riuscito, ispirato e rivoluzionario primo capitolo che ha fatto la storia di un genere.
Sarebbe stato assurdo e controproducente tentare di replicare l’horror movie fantascientifico e claustrofobico di sette anni prima. Cameron, che non solo di incassi ma anche di atti secondi se ne intende (Terminator II), concepisce "Aliens" in modo diverso capendo che l’unico modo possibile per continuare la storia sugli stessi standard qualitativi è cambiare genere. Grazie ad un ritmo serrato, un forte utilizzo degli effetti speciali a scapito della tensione, frasi spaccone e caratterizzazione estrema e quasi fumettistica dei personaggi, l’opera si avvicina più allo spettacolare action che all’horror movie.
Ed è giusto che sia così perché ormai le conosciamo le inquietanti creature aliene dalla forma dei nostri peggiori incubi, generate dalla geniale ma contorta mente dell’artista svizzero H.R. Giger. Questo bastardo visionario, con le sue creature del cazzo fin troppo ben rese, mi ha fottuto del sonno di un congruo numero di notti. Ma forse ero solo troppo giovine io quando inciampai alla tv in "Alien". Personalmente ho sempre ritenuto che la presa terrificante e magnetica sullo spettatore non sia dovuta tanto all’aspetto fisico, (sembrano delle cavallette ragnesche con un testa da T-Rex in dieta da due anni), ma per i modi non proprio da galateo che la specie adotta per uccidere gli invasori (squartandoli come fosse una penetrazione) e le loro discutibili tecniche di riproduzione e nascita.
Un horror non ha più senso di esistere perché, al pari degli spettatori, anche i protagonisti del sequel sono stati istruiti dall’unica sopravvissuta della precedente odissea spaziale, una ancor più cazzuta Sigourney Weaver. Credono di sapere a cosa vanno incontro e non sono complessivamente forieri di diplomazia, ma più propensi alla guerra ed alla nuclearizzazione.
Invece che in una claustrofobica astronave l’ambientazione viene inizialmente allargata ad una immensa colonia sul pianeta LV-426: a distanza di 57 anni, infatti, il nuovo businness per la Terra è diventato quello di costruire pianeti. Come nel film di Ridley Scott, con una marcata differenziazione tra buoni e cattivi, c’è la volontà di accusare l’arrivismo senza scrupoli a rischio della catastrofe cui fa da contraltare un’eroina integerrima che riuscirà pure a riprendersi quanto le era stato ingiustamente tolto. Atmosfere cupe, piovose e per nulla rassicuranti scene in ambiente esterno (Blade Runner) danno l’apparente illusione di un aumento degli spazi; è solo un’impressione perché progressivamente gli ambienti si restringeranno per potare ad un contatto fisico sempre più stringente (stanze, corridoi, condotti d'aria) tra le due forme di vita.
L’odissea comincia quando i marines, alla ricerca di eventuali superstiti, vengono attirati nelle profondità della colonia. E’ un territorio ormai completamente inglobato dalle forme aliene e la scenografia, (qui i 27 anni di distanza si fanno sentire) fa sembrare la loro discesa quasi come l’intrusione forzata di una medicina all’interno di un corpo. E’ interessante il modo in cui termina il film, fondamentalmente una evacuazione forzata, quasi a sancire il termine del legame tra le due forme di vita.
E’ un sequel eccezionale, specie se si tiene conto del cambio di regia, dotato di ritmo serrato e capace di alternare con la giusta misura risate, tensione e rari momenti di dolcezza che si adattano ad un cast onesto nel quale trovano spazio pochi ma ben definiti e stereotipati personaggi.
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