“Grace” è un classico degli anni novanta. Jeff Buckley, morto nel Missisipi il 29 maggio 1997, dalla voce fatata e dalla personalità tenebrosa, rimarrà uno degli artisti più significativi di quel decennio. In questo disco Jeff ci mette l’anima. Bastano i primi magici secondi di “Mojo Pin” a farcelo capire; un lento sorgere dalle tenebre, le note suadenti e la melodia plasmata con dolcezza. Questo è tutta l’essenza di Jeff; il suo è un canto dell’anima. Per di più, la pacata bellezza delle composizioni esplode spesso in attacchi isterici. Nella stessa traccia d’apertura troviamo un finale ossessivo che ha ben poco a che fare con l’incedere pacato del brano.

La title track è uno stupendo folk rock venato di colori suadenti. La voce calda prima accarezza l’ascoltatore, lo ammalia ed infine lo turba in un crescendo finale drammatico e catartico.

La piacevolezza delle dieci tracce è innegabile; si passa dal pop rock disteso di “Last Goodbye”, caratterizzata dalle chitarre acustiche, dalle orchestrazioni morbide e dal tono rilassato del canto, alle ballate notturne come “Lilac Wine”, un canto mistico e solitario, che riporta alla mente il padre di Jeff, Tim Buckley. Stesse atmosfere si respirano in “Hallelujah” e “Lover, You Should've Come Over”; la prima, di Cohen, è un monologo ancora più desertico, accompagnato da un andamento classicheggiante di chitarra. Un inno struggente, la voce emozionata ci regala brividi in continuazione. La seconda è una ballata magicamente equilibrata che cresce con forza ed ammalia l’ascoltatore.

I momenti più veementi sono “So Real”, brano rock intarsiato di ricami ipnotici che esplodono nel ritornello trascinante e nelle distorsioni di chitarra, ed “Eternal Life” con il suo riff grezzo di chitarra che ha poco da spartire con la raffinatezza del disco, ma non sfigura. Anzi, Buckley si trova a suo agio anche quando si lancia in grida sfrenate.

L’atmosfera è simile a un gospel, la religiosità è molto marcata; “Corpus Christi Carol”, con la sua melodia classica, è una gradevole variazione sul tema.

Il finale è lasciato a “Dream Brother” un delicato canto alla luna, il brano più psichedelico dell’album. Un viaggio meraviglioso attraverso mondi vacui.

Il conclusione, “Grace” è una sintesi lussuosa di melodie angeliche, emotività e gusto. A un livello più superficiale lo si può ascoltare come un semplice disco di pop-rock ispirato, ma nasconde in realtà tutta la magia dei migliori artisti del passato, da Tim Buckley a Van Morrison.

Sicuramente è un punto fermo nel panorama della musica leggera dello scorso decennio.

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