Oh is he a soldier or is he a dreamer, is he mama's little man, does he help you when he can?
Or does he ask about me?

Così cantava Tim buckley nel 1969.

Inizio questa recensione su “Live at Sin-è legacy edition” citando Tim, padre di Jeff Buckley perchè, non so voi ma io, amandoli entrambi, non riesco a pensare all'uno senza pensare anche all'altro...
E dato che Jeff ha iniziato la sua carriera nel mondo della musica cantando “Once I was” e “I never asked to be your mountain” in un concerto in memoria di Tim, menzionare quest'ultimo in questa occasione non è così inappropriato...

Jeff volò da Los Angeles a New York nell'Aprile del 1991 proprio a causa di quel concerto e non tornò più indietro. Certo quella serata non gli procurò un contratto con una major ma gli consentì di congedarsi idealmente dal padre. Inoltre proprio quella sera Jeff prese possesso della sua telecaster bianca. Gliela procurò Janine Nichols, responsabile delle attività musicali della Saint Ann Church di Brooklin Heights, la chiesa sconsacrata scelta come sede dell'evento. Jeff non la restituirà mai, quella vecchia telecaster bianca accompagnerà il “mistery white boy” fino alla fine.
Una volta stabilitosi a New York Jeff fondò i “Gods and Monsters” in società con Gary Lucas, ex chitarrista di Captain Beffheart e personaggio ben conosciuto nell'underground newyorkese. Questa band smise di esistere quando Jeff capì che non era quella la sua strada. Stare in una band gli piaceva e appena potrà fonderà la propria, prima però doveva cimentarsi in una peregrinazione solitaria in cerca del suo vero io musicale. Si mise quindi a dare concerti in solitaria in piccoli locali come il Sin-è dove, di fronte a pochi avventori tutti estremamente interessati, eseguiva meravigliose versioni di classici della canzone popolare americana e brani scritti di suo pugno. Brani che poi troveremo pienamente realizzati in “Grace”.

“Live at sin-è” testimonia questo breve ma intenso periodo della altrettanto breve carriera di Jeff Buckley. Pubblicato come EP contenente solo quattro pezzi nel '94, oggi lo ritroviamo esteso a doppio CD contenente tutto un concerto. Nella confezione è compreso anche un DVD di una ventina di minuti che a dire il vero non contiene materiale irrinunciabile. Vi si trovano spezzoni di video girati in maniera amatoriale e due inserti presi da un un filmato promozionale di “Grace” già visto e rivisto. Non un gran chè insomma. Tutto l'interesse di questa pubblicazione risiede nei due CD.

Il concerto inizia con un brano cantato da Jeff accompagnandosi solo con un battito ritmico delle mani (“Be your Husband”) che suona solenne un pò come se fosse l'inizio di una celebrazione. Poi Jeff imbraccia la telecaster ed esegue lo spiritual lentoLover you should've come over” dove a considerazioni sulla perdita dell'amore (“... Broken down and hungry for your love...” ) si uniscono considerazioni più personali ed autobiografiche (“...Too young to hold on and too old to just break free and run”). Il tutto per poi sprofondare nelle visioni oniriche di Mojo Pin (“That's a song about a dream...”). Gli altri pezzi presenti in questo live che poi ritroveremo su “Grace” sono la stessa “Grace”, “The unforgiven” (titolo originario di “Last Goodbye” ) e “Eternal Life”.

Per chi si ponesse il problema, quest'ultimo brano è forse quello che risente meno della mancanza di basso e batteria. Un introduzione hendrixiana vien fuori dalla telecaster per dar inizio al brano e poi l'urlo di Jeff diviene il canto di una rabbia esistenziale senza requie: “ What is love, where is happiness, ecc...” . Sulla voce di Jeff Buckley si potrebbero spendere molte parole. Io qui mi limiterò a una piccola considerazione: anche nelle cose più estreme per una voce maschile Jeff risultava gradevole. Mi è capitato di sentire una registrazione di un concerto londinese organizzato nel 1995 da Elvis Costello in cui Jeff ha interpretato un aria seicentesca per soprano: “Il lamento di didone” di Henry Purcell. Ebbene quest'aria oggi fa parte del repertorio di molte cantanti donne ovviamente ma anche di molti sopranisti, cioè cantanti di sesso maschile che esercitano la voce in maniera tale da raggiungere i toni acuti e femminili di un soprano. Un pò come Farinelli ma senza assurde mutilazioni... Ecco, qualche volta mi è capitato di sentire qualche sopranista e, senza voler scadere in commenti di basso livello, non ho potuto evitare di trovarlo uno spettacolo al quanto strano. Con Jeff non ho avuto la stessa sensazione, anzi... Anche questo credo faccia parte del mistero della sua voce...

Ma torniamo al disco che è ora di parlare delle cover: c'è “Strange fruit” per la quale Jeff improvvisa un introduzione telecasteriana che fa la corte al riff del pezzo e poi, lusinga dopo lusinga lo conquista e lo espone... C'è “Night Flight” dei Led Zeppelin in cui Jeff da vero sbarazzino fa le veci di Jimmy Page e Robert Plant. Come dire due mostri sacri in un corpo solo. Di Van Morrison possiamo sentire una pomposa versione di “The way young lovers do”, vera dimostrazione di fantasia, forza e passione esecutiva cui fa da contraltare la melodia nostalgica di “Je ne connais pas la fin” di Edit Piaf. E figuriamoci se poteva mancare la conclusiva “Halleloujah”...

Ma fra gli amori musicali di Jeff Buckley è Nusrat Fateh Ali Khan ad occupare un posto di riguardo. Cantante pakistano, figura carismatica di tutto il mondo sufi, di Nusrat Jeff dice “He's my Elvis”; poi canta “Yeh Jo Halka Halka Saroon Hai” da “Love songs”. Io ho sentito l'originale (Nusrat l'ho scoperto tramite Jeff) e, a dispetto della lontananza culturale, la vicinanza al modello è davvero sorprendente. Entrambi fanno venire voglia di trotterellare come dervisci e quando avvertite atmosfere mediorientali nella produzione buckleyana, (in “Last Goodbye” o “What will you say” per esempio), beh siate certi che, mentre scriveva, era a Nusrat che Jeff stava pensando.
Oh, qui non si può sfuggire al lato più ludico della personalità di Buckley figlio. Chiunque e qualunque canzone poteva diventare oggetto di parodia. Dopo averlo imitato Jeff prende in giro Nusrat e insieme a Nusrat prende in giro i Nirvana. Esegue infatti il riff di “Smell like teen spirit” producendosi nelle evoluzioni gutturali tipiche del Qwwali, il canto devozionale di cui Nusrat era maestro. L'effetto ve l'assicuro è esilarante e Jeff conclude dicendo “I'm a ridicolous person...”. Eh si, Jeff era un simpaticone e in ogni concerto inseriva qualche gag proprio spassosa. Per concludere citerei un altra gag che però non compare su questo disco.

Chi possiede il DVD “Jeff Buckley live in chicago” sa che, prima di cantare “Grace”, su richiesta di uno spettatore, Jeff storpia una canzone di suo papà: “Get on Top” da “Greetings from L.A”. Mentre la canta fa delle mossettine che esagerano l'atteggiamento smaccatamente sexy della canzone poi cambia il testo e al posto di “Get on top of me woman” recita “Get on top of my coffin, woman”. Decida il lettore se tale gag è più macabra o più divertente....

E pensare che quasi trent'anni prima Tim chiedeva: “...Does he ask about me...”

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