Nel panorama musicale contemporaneo, affollato da starlette e sonorità plasticose, esistono degli artisti che, seppur dotati di un gran talento, hanno dovuto faticare non poco per essere apprezzati unanimemente da critica e pubblico. La cantante inglese Jessie Ware rientra in questa categoria e un accenno alla sua biografia può senza dubbio confermarlo.

Nata a Londra negli anni Ottanta, Jessie scopre fin da giovane il suo amore per la musica e ha la fortuna di essere incoraggiata dalla madre Helena, con la quale ha da sempre un ottimo rapporto (le due conducono persino un podcast dedicato alla cucina, Table Manners). Dopo aver collaborato con pezzi da novanta come SBTRKT, Sampha e Florence and the Machine pubblica tre album (Devotion, Tough Love e Glasshouse) caratterizzati da un sound elegante e da singoli di successo come “Wildest Moments”, “Night Light e “Selfish Love”. Ad attirare ulteriormente l’attenzione ci pensano alcuni brani scritti per Nicki Minaj ed Ed Sheeran, a testimonianza di una personalità eclettica e imprevedibile, che non disdegna incursioni nel cosiddetto mainstream.

Questo accenno alla carriera della songwriter di Hammersmith sembra restituire l’immagine di una donna di successo, con un curriculum ricco di esperienze artistiche (e anche madre di due figli, avuti dal matrimonio con il personal trainer Sam Burrows). Tuttavia, a uno sguardo più attento, si comprende che Jessie non aveva ancora fatto quel salto di qualità necessario per entrare nell’Olimpo del pop. In altri termini non era arrivato l’album della consacrazione, il disco che “fa il botto” e permette di raggiungere il successo dopo anni di duro lavoro. Tutto ciò avviene nel 2020, quando la cantante dà alle stampe What’s Your Pleasure?, ultimo capitolo di una carriera ormai decennale.

What’s Your Pleasure può essere considerato un vero e proprio spartiacque nella discografia di Jessie Ware. Nelle sue dodici tracce, infatti, scompaiono quasi del tutto le ballad del passato, sostituite da quelle sonorità nu-disco che sembrano diventate il nuovo trend del pop contemporaneo. La scelta di Jessie nasce dal desiderio di tornare alla indie-dance degli esordi e risponde inoltre a un obiettivo ben preciso: ristabilire un’immagine più vera della cantante londinese, una ragazza semplice, lontana da certe dive artefatte e sommerse da tonnellate di eyeliner e lipgloss.

Il primo elemento ad attirare l’attenzione è la grande varietà del disco, un’opera multiforme in cui Giorgio Moroder, Donna Summer, Chaka Khan e gli Everything but the Girl convivono pacificamente, quasi fossero dei coinquilini che, invece di azzuffarsi tra loro, decidono di assecondare l’equilibrio che si viene magicamente a creare. Il tutto è impreziosito dalla voce sensuale di Jessie, che non ricorre a particolari espedienti per farsi notare ma a testi ben scritti e melodie azzeccate, piacevolmente rétro.

L’iniziale “Spotlight” mette subito le cose in chiaro: produzione dal sapore disco e acid-house, atmosfere sognanti e un testo malinconico non privo di momenti più accesi e passionali. Unico neo: alcune somiglianze con il refrain di “Levitating” di Dua Lipa, uscita pochi mesi prima. Che i producer di Jessie abbiano dato un ascolto a Future Nostalgia? Difficile a dirsi, ma il brano resta comunque notevole, un esempio di pop adulto e perfettamente confezionato (bello anche il video, girato a Belgrado a bordo del famoso treno Plavi Voz) .

Le buone impressioni vengono confermate dalle altre tracce, dove Jessie riesce a fondere le influenze più diverse senza che il tutto suoni prolisso o poco uniforme. “Ooh La La”, Soul Control” e “Read My Lips” fanno rivivere gli anni dell’electro e delle Bananarama senza risultare banali, ma leggere e frizzanti, a tratti irresistibili. Nella title-track e in “Save a Kiss” ci si trova di fronte a una disco-diva del XXI secolo, completamente a suo agio tra sonorità che ricordano gli Abba, Moroder e la house più raffinata (e che non si risparmia frasi e interrogativi “hot”: “Push. Press. More. Less./Here together/What's your pleasure?”). Non deludono “Adore You” e “The Kill”, due canzoni sospese ed evocative (bellissima la seconda, caratterizzata da un arrangiamento orchestrale e da una riflessione sulle ansie che spesso rovinano i rapporti di coppia). Ed è difficile dimenticare il sophisti-pop di “In Your Eyes”, a metà strada tra Lisa Stansfield e gli Everything but the Girl, o la conclusiva “Remember Where You Are”, tributo a “Les Fleurs” di Minnie Ripperton accompagnato da un videoclip in cui Gemma Arterton vaga per una Londra spettrale e deserta.

Tutto finito? Macché: c’è il bonus disc della Platinum Pleasure edition, contenente remix, b-side e un brano come “Please” che non avrebbe sfigurato nella tracklist ufficiale.

Insomma, What’s Your Pleasure? è sicuramente un disco di alto livello, che omaggia in maniera un po’ nostalgica il passato e lo collega alla sensibilità e alle incertezze del presente. Proprio per questo, il suo significato più profondo viene sintetizzato da una canzone come “Remember Where You Are”: una personale dedica a una città e un mondo deserti, con la speranza di un riavvicinamento: un ritorno alla normalità. Ed è davvero curioso che ad augurarsi ciò sia un lavoro per nulla ordinario, capace di mitigare gli eccessi che sarebbero potuti derivare dai suoi numerosi riferimenti musicali.

Il giudizio è quindi positivo: What’s Your Pleasure? è il migliore album di Jessie Ware, che ora può essere riconosciuta non solo come un’ottima autrice o interprete, ma anche come una popstar di tutto rispetto, una stella del firmamento musicale che attendeva solo la sua consacrazione.

Che finalmente è arrivata.

Voto: 4,5

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