John Foxx è per chi scrive uno dei più grandi musicisti e compositori degli ultimi trenta-trentacinque anni. La sua carriera cominciata agli inizi degli anni settanta con quella formazione embrionale denominata Tiger Lily e che più tardi diventeranno gli Ultravox! si è sviluppata sin dagli inizi della sua carriera solista con quel disco fondamentale che è 'Metamatic' (1980) in un succedersi di composizioni minimaliste e ambient e nelle quali egli ha ogni volta dato prova delle sue capacità compositive e della sua grande sensibilità artistica.

Ricostruire ogni passaggio della sua carriera in poche righe è praticamente impossibile perché, a dispetto della poca attenzione del pubblico e della critica nei suoi confronti nel corso degli anni, la sua produzione è molto ampia: nella pratica infatti - se escludiamo una fase all'inizio degli anni novanta - la sua carriera è sempre proseguita ininterrottamente e portando avanti diversi progetti paralleli alla sua produzione solista. Tra questi menzionerei le collaborazioni nel corso degli anni con il suo alter-ego Gary NUman, quella con Tim Simenon (Bomb the Bass), Louis Gordon e questo progetto nato nel dicembre 2009 denominato John Foxx and the Maths e che lo vede questa volta affiancato al musicista e produttore classe 1967 Ben Edwards e meglio conosciuto come Benge.

Dal 2009 i due hanno pubblicato cinque album in studio e un live. L'ultimo disco in studio si intitola 'The Machine' ed è uscito lo scorso 10 febbraio via Metamatic Records e che poi sarebbe ovviamente l'etichetta di proprietà di John Foxx. Inizialmente concepito come la colonna sonora di uno spettacolo teatrale tratto dall'opera 'The Machine Stops' di E.M. Forster, il disco è stato praticamente realizzato tra il 2015 e il 2016 ma vede la luce solo ora dopo una fase di post-produzione che ne ha anticipato l'uscita.

Nato principalmente quindi come una colonna sonora, il disco non può che in qualche maniera evocare quelli che sono i contenuti dell'opera di E.M. Forster cui è concettualmente strettamente connesso. Il racconto di Forster, pubblicato per la prima volta nel 1909, raccontava un mondo in cui la popolazione del pianeta Terra aveva perso la capacità di vivere negli spazi aperti. Di conseguenza ciascuno viveva ritirato in una specie di isolamento sotto la superficie della Terra con ogni bisogno fisico e spirituale che veniva soddisfatto da una entità superiore denominata 'Machine'. In questo universo la gente si sposta poco e la comunicazione avviene per lo più tramite messaggi istantanei e video-conferenze. L'equilibrio viene rotto dai due protagonisti della storia, Vashti e in particoolare suo figlio Kuno che prima scopre che è ancora possibile vivere in superficie e successivamente si rende conto di quello che è il deterioramento della 'Macchina' e che presto porterà alla sua fine e alla fine del sistema da esso creato.

La prima performance dal vivo di questo album avvenne già nel maggio 2016 e in un contesto tanto suggestivo quanto attinente i contenuti del racconto distopico di Forster, cioè all'interno dello York Cold War Bunker, un bunker costruito nel 1961 nella area circostante la città di York per monitorare eventuali esplosioni nucleari nello Yorkshire nel caso in cui fosse scoppiato un conflitto mondiale.

Il disco (da segnalare la partecipazione al progetto di Elizabeth Bernholz - Gazelle Twin) si può definire come un album di ambient music e composizioni minimali e di musica concreta dai contenuti emotivi particolarmente spinti e con suggestioni emozionali che variano da stati di inquietudine e profonda ansietà, angoscia e claustrofobia fino a quelle che possono essere sensazioni trionfanti e rivelatrici. Alla pari di ogni altra produzione del progetto, le composizioni sono curate nei minimi particolari e lo stile è elegante e ricercato, l'uso della strumentazione analogica consapevole come pochi altri nel panorama musicale contemporaneo, lo stile permeato in ogni caso da quella sacralità e quei toni solenni che riprendono la serie di produzioni di John Foxx 'Caathedral Oceans'. Potremmo nominare artisti come Brian Eno e David Sylvian oppure il minimalismo di Philip Glass e in ogni caso potreste avere dei validi punti di riferimento per capire di che cosa stiamo parlando. Per quanto mi riguarda, molto spesso si usa dire di qualche canzone, che quella è la musica che vorreste fosse la colonna sonora del vostro funerale; in questo caso specifico invece, per quanto riguarda John Foxx e le sue composizioni in generale, incluso questo suo ultimo album, ho sempre pensato che la sua musica è quella che vorrei che fosse invece la colonna sonora della mia vita. Una varietà infinita di emozioni che non sono tutte necessariamente positive ma tutte così dense e cariche di quel significato e contenuto principale che definirei 'bellezza'.

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