John Lydon sta altrove, da qualche parte.
Con i suoi occhi psicotici, i suoi capelli sparati, le sue antenne sempre attente, capta le novità spesso prima degli altri. Spesso, però, giunto alla stoccata finale, precipita. "Psycho's Path", del 1997, ne è la prova migliore.
Una discutibile copertina pop art, uno splendido titolo, un'ottima prova musicale.
Risultato: un flop assoluto.

Dopo vent'anni dal grande botto dei Sex Pistols, Johnny getta le sue tante maschere, le varie identità con cui ha sempre nascosto il suo nome, e se la gioca, per la prima volta, con nome e cognome. Il messaggio è chiaro: stavolta ci metto la faccia.
Le antenne sono dritte, lo abbiamo detto, e anche stavolta lo dimostra.
Compone una manciata di pezzi con suoni alla moda ma allo stesso tempo perfetti per le sue litanie nevrotiche e ben poco commerciali, dopo di che imbarca tre stelle nascenti: Leftfield (già ben conosciuti), Moby e i Chemical Brothers.

Attenzione, non è ovvio come sembra. Gli ultimi due nomi citati non sono ancora sulla bocca di tutti: il grande mondo delle hit parade non li conosce ancora. Per quanto riguarda i fratelli chimici, si sono già distinti in precedenza ma il 1997 è l'anno in cui la massa li scopre grazie a "Dig your own hole": Lydon arriva prima. Coinvolgere Moby è ancor più lungimirante, se si considera che il successo planetario arriverà solo nel 1999 e che nel 1997 la futura star si dibatteva ancora nel sottobosco musicale.

A questi tre terroristi sonori affida i remix, mentre il resto del disco se lo scrive e suona tutto da solo, abbandonando tutto quello a cui ha abituato il suo pubblico da vent'anni.
Il nuovo giocattolo è infatti un ibrido isterico di musica da discoteca e drum'n'bass screziato da fisarmoniche e dulcimer. Un basso ipnotico e ispirato come non si vedeva dai tempi di Jah Wobble e nessuna traccia di chitarra elettrica.
In poche parole, l'ennesima pedata nei coglioni del popolo punk.

Sicuramente Mr. Rotten affida le sue speranze al ritmo disco-folk di "Sun", alla nenia allarmante a cui dà lo stesso titolo del disco, alla trascinante e anticlericale "Dog", alla tecnologica collaborazione con i Chemical Brothers nella psicotica "Open up". Purtroppo non otterrà alcuna soddisfazione.

Il fallimento commerciale di "Psycho's path" merita un'analisi, fosse solo per il fatto che nello stesso periodo un altro grande vecchio, David Bowie, cavalca la tigre jungle con "Earthling" e riesce a cavarsela magnificamente, passando quasi per innovatore all'orecchio degli ascoltatori meno attenti.

Ora, per me David Bowie è una specie di Dio in terra, ma in questa come in altre occasioni dimostra di essere parecchio più paraculo di Johnny. Al Duca si perdona tutto, al Marcio no.
A pensarci bene, lo suggeriscono i loro stessi soprannomi: il popolo, da sempre, ama più i Duchi dei Marci...

Che Lydon sperimenti o meno, è comunque un venduto per il suo pubblico di riferimento, quello dei Sex Pistols. Bowie invece riesce magicamente, ogni volta, a convincere tutti di essere solo "uno che si aggiorna". La faccenda ridicola è che tra i due quello meno attento all'incasso è sicuramente Lydon, anche se il pubblico sostiene il contrario e passa il tempo a cercare di impallinarlo con accuse di scarsa coerenza rispetto a uno stile, quello del 1977, da cui l'artista inglese cerca di affrancarsi disperatamente da una vita intera.

Un'altra causa della catastrofe è la Virgin. Poverini (si fa per dire...), mettiamoci nei loro panni: è il ventennale del punk, si sono riuniti i Sex Pistols da poco e proprio John, la migliore icona a loro disposizione,  se ne esce con un disco dance.
Così, promuovono meno possibile questo assurdo oggetto pieno di campionamenti e fisarmoniche e si concentrano sul revival punk imminente. Johnny non gliela perdonerà, anche perchè presumibilmente si era imbarcato nel "Filthy Lucre tour" con i vecchi compagni proprio per finanziarsi quest'opera. Del resto, era chiaro fin dal nome del tour, che lo faceva solo per soldi...

L'ultima, e più spiacevole motivazione del flop è però, per assurdo, colpa dello stesso Lydon: teso a spiazzare ogni volta l'ascoltatore, convinto di essere ancora al centro della scena, non si rende conto di una realtà triste ma inevitabile: il suo percorso artistico interessa ormai a pochi.
Il suo personaggio è in fase di avanzata iconizzazione, e quando si parla di icone si tende a pretendere da loro che siano stabili, come statue di cera, ferme "in difesa della loro celebrazione".
A un monumento si chiede di essere un monumento, non di continuare ad agitarsi.
Peccato che John Lydon, più di tanti suoi stimati colleghi, più che un monumento continui a ritenersi una persona, e oltretutto sia un notorio, inveterato rompicoglioni.

Come la fine non lieta di una bella favola, "Psycho's path" è rimasto così a impolverarsi sugli scaffali, senza nessun reale demerito. Un'opera relegata al rango d'ipotesi abortita, un piccolo gioiello mai portato in tour, l'ultima prova non perfetta ma di alto livello di un'artista sempre al passo coi tempi e sempre, al tempo stesso, assolutamente originale.

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