Molti attenti ascoltatori sicuramente si ricorderanno di John Wesley (conosciuto anche con il nomignolo di Wes Dearth), chitarrista e cantante che accompagna frequentemente in giro per il mondo alcuni nomi illustri della scena progressive: fra le collaborazioni più note spiccano sicuramente quella con i Marillion in veste di apripista per le loro performance in ben sette tour consecutivi, il sodalizio con Fish (l’arcinoto ex frontman della già citata band inglese) e il ruolo consolidato di seconda voce e chitarra per i concerti dei Porcupine Tree sin dai tempi dell' album In Absentia.
Quello che non molti sanno è che l’artista in questione vanta una ben fornita discografia da solista, ormai già arrivata al settimo lavoro in studio con l’EP The Lilypad Suite a cui seguirà l’LP Disconnect, la cui uscita è prevista per quest’anno.
In questa recensione andremo ad approfondire Shiver, prodotto nel 2005 dalla RedRoom Recorders (casa discografica fondata dallo stesso John Wesley a Tampa Bay, in Florida) e mixato dall’amico Steven Wilson.
Occorre fare una premessa riguardo alla musica contenuta in questo album: John, in netta contrapposizione con i suoi abituali colleghi inglesi, fa sostanzialmente rock. Per la precisione un alternative rock energico e atmosferico, che si rifà in qualche modo a nomi del calibro di Bruce Springsteen, Rush, Smashing Pumpkins, Screaming Trees e Blind Melon, attingendo a piene mani dalla tradizione musicale americana degli anni ’80 e ‘90.
L’album, suddiviso in 10 tracce, si apre con la carica di Pretty Lives, a cui seguono le dolci Star e Used Up. Always Be incede con arpeggi orecchiabili, mentre King of 17 è caratterizzata da un riff che ricorda una ballata medioevale.
Nella title track possiamo sentire appieno il potenziale della calda e rassicurante voce di John (per certi aspetti riconducibile a quella di Geddy Lee nei lavori ottantiani dei Rush).
Altro pezzo notevole è Swing, che da un delicato arpeggio sfocia progressivamente in sonorità più cupe e ossessive.
Some Miracle, melodica e solare, riprende il filone di Always Be, mentre Your Round propone un riff trascinante alternato ad un ritornello più lento e rilassato, per poi sfumare in lontananza.
La chiusura è affidata a Please Come Back, uno degli episodi più pop e orecchiabili dell’opera.
Shiver non aspira ad essere un capolavoro. E' un buon album, non particolarmente impegnato e piuttosto omogeneo nell'offerta, consigliato in particolar modo agli amanti di sonorità calde e cantautoriali. A questi ultimi suggerisco anche l'ascolto dei precedenti Under The Red And White Sky e Chasing Monsters.
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