Che John Zorn avesse deliberatamente scelto di non prendere parte (nelle vesti di strumentista) alla trilogia iniziata con "Moonchild" e proseguita con "Astronome" e adesso chiusa con "Six Litanies For Heliogabalus", "limitandosi" quindi al ruolo di creatore e direttore e senza mai "sporcarsi le mani", era effettivamente strano. Anche perché, già lo si era dedotto dall'ascolto dei due precedenti capitoli, e ora risulta definitivamente chiaro, si tratta di una tra le opere migliori - in assoluto - partorite dal genio newyorchese.
Non sorprende quindi che il sax di Zorn si inserisca con prepotenza all'interno delle nuove tracce, anche in considerazione del fatto che la line up si è ampliata e alla triade fenomenale composta da Mike Patton, Trevor Dunn e Joey Baron si sono aggiunti Ikue Mori alle apparecchiature elettroniche, Jamie Saft all'organo e un coro femminile. Ne sono scaturite sei composizioni, che si differenziano in maniera marcata le une dalle altre, andando a mettere insieme una sezione ritmica paurosa, sia nelle parti di devastazione accelerata, che quando lavorano di "fioretto", un organo che pilota gran parte dei brani e inserimenti perfettamente coordinati da parte della rimanente strumentazione (voce compresa, visto che si parla di Patton). E a proposito di Patton, sebbene il suo ruolo sia nel complesso minore rispetto ai due album precedenti, c'è da dire che ha modo di rifarsi e pure con gli interessi, dal momento che "Litany, Pt. 4" è a suo esclusivo utilizzo, quindi preparatevi a urla, deliri, sputi e lucida follia applicata alle corde vocali.
Tra speed metal, noise/avant rock, sinfonie dinamiche, ambientazioni terrificanti e free jazz fuori controllo. Rimango ancora una volta stupefatto. A questo punto si chiude una delle trilogie più affascinanti, intense e ricche di contenuti (non solo sonori) che sia mai stata messa al mondo!
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