All’ormai stagionata (annata 1943) fuoriclasse canadese della canzone d’autore il destino ha purtroppo riservato una vecchiaia brutta e precoce: cinque anni fa un aneurisma al cervello l’ha seriamente menomata fisicamente e mentalmente, ponendo definitiva fine alla sua lunghissima, quasi cinquantennale carriera di compositrice e performer. E pittrice.

Con la cocciutaggine delle più toste (”Ho sconfitto la poliomielite a nove anni… questa è semplicemente un'altra, ennesima battaglia nella mia vita!”), la biondina sta tenendo comunque botta e intanto ha progressivamente recuperato del tutto la smarrita favella, mentre per quanto riguarda i problemi di mobilità, la carrozzella ancora non è riuscita a metterla in disuso, ma ci sta lavorando.

Questo disco risale alla fine dello scorso secolo e con esso la Mitchell entrò formalmente nella lunga fase “senile” della sua carriera. Ad esso seguirono infatti una sfilza di raccolte, di riciclaggi, reinterpretazioni e recuperi, nobilitate da un solo, unico album di inediti datato 2007 e a titolo “Shine”, peraltro superbo.

“Both Sides Now” infatti consta, per i suoi dieci dodicesimi, di personalissime cover di standard di jazz leggero degli anni sessanta, cinquanta, quaranta e persino trenta. Completano il disco due reinterpretazioni di suoi classici della prima ora, quello celebre che fornisce anche il titolo dell'opera e poi il discretamente meno noto “A Case of You”.

Le particolarità del disco sono due: innanzitutto l’onnipresenza della grande orchestra, arrangiata e condotta dal professionalissimo Vince Mendoza e registrata nei londinesi Air Studios del compianto Sir John Martin, quello dei Beatles.

E poi la voce della Mitchell stessa: andata! Perse per strada due delle quattro ottave d’estensione nonché il timbro rotondo ed argentino, sostituiti da un’emissione scura e roca, sbocconcellata dove una volta era stentorea e sostenuta.

E’ per via delle sigarette… Tre pacchetti al giorno, da quando era bambina! Naturalmente lei nega decisamente, come solo i fumatori accaniti sanno fare, preferendo dare la colpa ai tardivi strascichi dell’antico attacco di polio, al fatto che dopo i cinquanta la voce si perde sempre (vallo a dire ad Al Bano, se hai coraggio!). In realtà la sua ugola sopranile da giovinotta, esibita con esiti spettacolari ma non di rado logorroici nei primi quattro/cinque album, si era già trasformata in quella, definitivamente più piena, mobile e interessante di un mezzo soprano già in pieni anni settanta. I quintali di tabacco bruciato hanno poi continuato a lavorare ed eccola negli anni ottanta operare da contralto, peraltro ancora “pulito” ed esteso, finché negli anni novanta sono cominciati l’arrochimento e la limitazione sempre più evidente verso gli acuti.

Tutto questo per concludere però che il canto di Joni Mitchell è andato migliorando via via con gli anni! Alle limitazioni fisiologiche facendo da contraltare l’esperienza, la conoscenza, l’espressività, la chiarezza dei propri fini e mezzi, l’infinita megalomania con conseguente ricerca della perfezione nel travasare la propria sensibilità in note, gorgheggi e parole. Preferisco assai questa Joni Mitchell matura, sfiatata e limitata ma sexy, a quella specie di usignolo esagerato di quand’era ragazza, costantemente preso a sorvolare il suono della sua chitarra acustica senza mai atterrare. I toni bassi e sibilanti di quest’anzianotta Mitchell, il suo fraseggio secco e talvolta quasi verbale, le sfumature infinite della sua gola, sono un toccasana per il mio gusto, e pure… vero stimolo alla mia sfera sessuale! Basta ascoltare la stessa “Both Sides Now”, cantata tre toni sotto l’originale e allo stesso tempo tre volte più suggestiva, nel suo andamento lento e malinconico che fornisce alle liriche pieno significato.

Non è un disco rock e non è un disco folk, sono cinquanta minuti molto retrò di voce più orchestra. Non per tutti i giorni, senz’altro, ma Joni è anche in quest'occasione e più che mai la mia musicista femmina preferita d'ogni tempo; e la sua voce mi dà i brividi, anche alle prese con questi pezzi antiquati di Richard Rodgers, Mack Gordon, Harry Warren, Howard Stept, Charles Tobias, David Mann, Vincent Youmans, Harold Arlen, Reuben Bloom… mezza Broadway anni d’oro insomma.

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