Lancetta sul rosso, in copertina.
Allarme vicino. Il Re Cremisi è scoppiato, stressato, in profonda crisi spirituale. Musicalmente sente di dover suonare l'ultimo lascito, un ultima testimonianza che "no, non sono mai stato il Re del progressive, non accostatemi più a Genesis e Yes perchè non c'entro un cavolo con quelli!". E, come gli atleti geniali, lascia (temporaneamente, scopriremo poi) al culmine della forma. Un disco che i piccoli discepoletti del nu-metal farebbero bene ad ascoltarsi 20 volte di seguito.

Lancinazioni in distorsione, clangori metallici e percussioni, pulsazioni di basso che bussano direttamente allo stomaco, lirismi scaturiti dai consumati tasti del bianco Mellotron, e il "toh, chi si rivede" rivolto al sax soprano di Mel Collins: questo non è un testamento, questo disco è la chiamata a raccolta delle migliori energie Crimson.
"Red", la titletrack, richiama alle composizioni strumentali dell'ultimo periodo: una sequenza di power chord distorti, supportanti da una ritmica "grassa" e battente. "Fallen Angel", un lamento onirico, sulla base di un arpeggio distorto del mai scontato Fripp. "One more red nightmare", e qui alzi la mano chi non rimane... basito dalla bravura di Bill Brudford, re incontrastato degli up-tempo alle percussioni. Non un essere umano, una piovra prestata al drumming creativo.
Ma il capolavoro assoluto lo udimmo, a quei tempi, sul lato... B del disco: "Starless". Vi si ritrovano tutti gli stilemi classici del Re Cremisi, e tuttavia la song non "puzza" di vecchio, anzi proietta il Re Cremisi in una dimensione senza tempo. Il Mellotron che prepara, e poi arriva dal punto più lontano dell'anima il solito, struggente inciso della Gibson di Fripp, mai così lirico; John Wetton incide su nastro un cantato amaro, caldo, una delle sue migliori prove. E poi... e poi arriva quel bridge nel mezzo della suite. Due-note-due, suonate da Fripp, reiterate e via via modificate, lanciate nel buio, a costruire una sequenza alla quale si accoda lentamente tutto il resto della band, a marcare un dolore emotivo.
E poi lo sfociare nell'orgia musicale finale, dove tutti mettono la propria smisurata abilità artistica al servizio del Grande Despota Fripp, per seguirlo nel proprio onirico percorso.

Un disco che alla fine lascia senza fiato: la lancetta, alla fine, si riporta a fine corsa, esausta ma felice d'esser stata lì, vicino all'estremo rosso, all'estremo limite emozionale...

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