E' da poco che ascolto i King Crimson, ma devo dire che sono tra quei gruppi che fanno quel Rock Psichedelico in cui uno può veramente identificarsi.

Dopo aver ascoltato "In The Court Of The Crimson King", ho sentito l'ultimo album di questa band inglese: "Red". Più di 30 anni fa questo disco usciva in Europa, ed i King Crimson asfaltavano quella strada che avevano già percorso, e che li avrebbe portati nell' Olimpo del Rock e della Musica. "Red" è più di un semplice album... è l'incrocio perfetto tra Psichedelia e Hard Rock.

Non il migliore, certo, ma una delle colonne portanti che ancora oggi sostengono questo genere così amato e così odiato. Con questo album riusciamo a percepire le varie sfumature di tutto un genere musicale. Si va infatti dalla Title-Track, decisamente strumentale e Hard Rock, a Starless, meditativa, dolce e semplicemente splendida. "Red" è proprio la prima canzone, strumentale, con una tagliente chitarra. Una decina di minuti di pura goduria: non è un brano impegnativo, non troppo monotono ma che riesce a trasmettere tutto quello che gli strumento buttano fuori. Dopo questa introduzione, cambiamo un pò genere infatti sentiamo tmi più calmi e dolci con "Fallen Angel", una bella canzone d'amore, che parte con la voce in solitario e una leggera chitarra acustica, con il suo culmine nell'assolo di Fripp. Dopo il 4° minuto la canzone va discendendo fino via via alla fine.

Alla Track numero 3 sembra ritornare alla canzone iniziale con il giro di chitarra. "One More Red Nightmare", parte con la voce del cantante secca e tagliente, diretta, come l'album del resto. Un po' come in tutte le canzoni dell'album, anche questa ha la sua bassa improvvisazione. I tempi restano invariati, come i ritmi. Tutto ciò, però, non è un punto negativo, anzi, paradossalmente nella sua monotonia queste canzoni riescono a farci assaporare ogni nota, facendoci innamorare di ogni singola battuta. "Providence", inizia con un flebile violino in sottofondo, che va via via in crescendo, e poi, accompagnato da un santuario basso, sale sempre più. I ritmi stridenti del violino ci fanno percepire un'atmosfera cupa, nera, quasi da film noir.

Ancora una canzone strumentale quindi, e ancora questa "monotona monotonia". Nient'altro da dire, soprattutto perché "Providence", preannuncia l'inizio di "Starless". Come già preannunciato, ecco i due estremi dell'album: "Red", acida, tagliente e secca si contrappone a "Starless", dolce e che sa vedere dentro. Ecco i due opposti però, che convivono senza che uno superi l'altro, in pacifica convivenza. Ecco quindi dopo un leggero riff di chitarra elettrica, questa voce che riesce a fare da cornice sia a brani più meditativi e "calmi" che a brani più "vivaci". 7 minuti e purtroppo anche "Stress" finisce e con lei "Red".

Non sempre si riesce a mettere per iscritto la propria emozione, ed è difficilissimo farlo con questo album che da tantissimo, ma che parla poco, e per comprenderlo il modo migliore rimane ascoltarlo.

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