1974. Il Re è morto? No, è morto il Progressive (e ne siamo tutti addolorati). Ma il Re è vivo. Viva il Re! L'Opera che vi sto per raccontare è grandiosa, frutto di uno straordinario lavoro di gruppo.
Ho scelto questo album per la mia prima recensione, io fan Genesis convinto, perché lo definisco un raro caso di rock allo stato puro, se i luminari della critica musicale mi passano il termine.
Fripp ha battuto molte strade musicali, riconosciamogli le sue doti non solo tecniche e compositive ma anche pioneristiche, creatore di Musica alla quale molti si sono ispirati, ha attraversato epoche musicali sempre davanti alla scia e mai all'interno di essa, dalla più estrema sperimentazione alle più dolci melodie, con formazioni quasi sempre diverse.
La volta di "Red" ha formato un gruppo di ottimi musicisti, tutti partecipi in ugual misura alla riuscita dell'album, una vera squadra. Fripp, indiscutibile leader dal suono inconfondibile; un grande Bruford delicato e variegato nel suo modo unico di suonare la batteria; Wetton bravissimo al basso e voce tra le migliori del rock; Cross, Collins e McDonald grandi inventori di arrangiamenti e assoli al violino e al sax in simbiosi con tutto il resto.
Dopo uno dei capolavori del Progressive quale "Lark's Tongues in Aspic" i King Crimson concepiscono un capolavoro di rock puro, con 5 brani anzi 4 (escludendo lo sperimentale Providence di cui mi astengo dal parlare) di grande effetto. Si parte con Red, forse il pezzo più debole perché un po' troppo ripetitivo, che su un tappeto di basso e batteria si erge solista, direi cantante, l'elettrica distorta di Fripp. Segue Fallen Angel, pezzo melodico con arpeggi, armonici ed altri giochetti di Fripp (sentite un passaggio dei suoi al minuto 4'01) e voce suadente di Wetton, con un inciso un po' più hard, dove il citato Fripp si diletta a giocare con una nota ripetuta, facendo le prove per l'ultimo grandioso brano dell'album: Starless.
E' la volta di One More Red Nightmare, seconda solo a Starless dove, sotto un incedere lancinante di percussioni metalliche e a volte con gli accordi dell'elettrica, si sviluppa un ottima cantata di Wetton; quando poi Fripp si staglia su tutti con sensazionali arpeggi elettrici un po' distorti si entra nella lunga stu-pe-nda parte strumentale sostenuta da grandi interventi di sax. Saltiamo lo strumentale e sperimentale Providence che forse non capisco e non apprezzo abbastanza e veniamo all'ultimo me-ra-vi-glio-so brano che è Starless. Un dolcissimo inizio in crescendo di mellotron frippiano apre ad una serie di strofe cantate da un Wetton ispirato, accompagnato in sottofondo dal delicato sax. Prende il posto un giro di basso da brividi, su cui si insinua prima leggero e poi in un crescendo direi orgasmico la chitarra di Fripp, singola nota su nota, in un'originalissima e tiratissima performance. Rafforza il tutto la grande entrata ritmica di Bruford che porta tutti quanti al finale su cui riprende poi maestosamente il tema iniziale fino a stendere senza più fiato l'ascoltatore, svuotato ormai di forze come lo si è dopo l'apice di un appassionato atto amoroso.
Credetemi, quale sfegatato fan Genesiano classe 1960 ho un po' sofferto a riconoscere la grandiosità di quest'opera, ma la Verità non può essere taciuta: "Red" è un gran bel disco, un esempio di Rock che tutti dovrebbero avere o quanto meno conoscere.
1974. Il Prog è morto, resterà il ricordo nei nostri cuori. Ma il Re è vivo, la lancetta è sul rosso. Ma non è il rosso della riserva, è quello dei giri al massimo!
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