"L'Età dell'Oro"
Il vento stava cambiando. Certo, non sarebbe stato facile intuirlo affidandosi solamente al fievole mormorio dell'acqua, durante il suo pigro distendersi sul letto dei canali, o magari limitandosi ad osservare l'ipnotico rincorrersi delle mastodontiche pale dei mulini, responsabili, con il loro ciclico andamento, d'increspare la pittoresca riflessività dei poetici cieli d'Olanda. Per sbirciare la nuova traiettoria tracciata dal capriccioso corso degli eventi umani, sarebbe stato necessario volgere lo sguardo a Sud, dove la fanatica stretta dell'ortodossia cattolica di Filippo II, a causa della bancarotta del suo Regno di Spagna, stava finalmente perdendo la propria maniacale presa sulle Provincie Unite del Nord Europa, permettendo così ai ribelli calvinisti d'inanellare una serie di vittorie cruciali, che avrebbero condotto, agli albori del XVII secolo, al fiorire dell'opulenza del porto di Amsterdam ed al consolidamento, seppur temporaneo, dell'indipendenza di ciò che più o meno corrisponde agli attuali Paesi Bassi.
Lungo lo svolgersi di questo aspro conflitto, passato alla storia come "Guerra degli Ottant'anni", si collocano le mille peripezie dell'esuberante pittore Rembrandt Harmenszoon van Rijn, il quale, essendo stato testimone sia del giogo spagnolo, con le sue imposte esorbitanti e le continue condanne all'eresia, sia della tanto agognata libertà, caratterizzata dagli eccessi a lungo trattenuti dalle fasce alte della borghesia, subì sulla propria pelle gli impietosi cambiamenti di un paese in rapida ascesa come anche, ineluttabilmente, in piena crisi d'identità.
Non c'è quindi molto da stupirsi se il geniale artista, da ragazzo d'oro della scena olandese, ambitissimo dalle più ricche famiglie dell'epoca per la sua inarrivabile capacità in ambito ritrattistico e perciò dedito, grazie a tale successo, al lusso e alle spese più sfrenate in compagnia dell'amata Saskia van Uylenburgh, precipitò rovinosamente, dopo la tragica morte della moglie, affetta da tubercolosi, nonché di tre dei loro quattro figli, in una voragine di amarezza e povertà, risoltasi nella progressiva ed ormai irreversibile spaccatura che si era venuta a creare tra il suo stile, sempre più cupo, provocatorio ed incapace di sottostare alle mode correnti, e le sofisticate esigenze locali, aristocraticamente altezzose, nel celebrare la vittoria contro l'egemonia asburgica, ed attratte dalle raffinatezze e dalla bellezza canonica del classicismo italiano.
La rovina sociale del virtuoso personaggio e le repentine inversioni culturali che massicciamente contribuirono ad essa, sembrano gettare un ponte attraverso lo spazio e il tempo, fino a raggiungere, oltre tre secoli dopo, gli ambienti ormai desolati dell'austera corte del Re Cremisi, dove a tutt'oggi Sua Maestà Robert Fripp si trova impegnato (dal 1992, anno in cui venne data alle stampe la monumentale opera in quattro volumi "The Great Deceiver") nella catalogazione e rilegatura di numerosi documenti storici risalenti a circa quattro decadi fa, all'epoca cioè del suo severo ma illuminato dominio dell'Impero Progressivo Inglese; sull'eclissarsi del quale, il grande condottiero mantiene una vivida ed inalterata memoria: "Negli anni seguenti il 1976 era impossibile anche solo menzionare i titoli di uno qualsiasi dei nostri lavori, o persino fare cenno al nome del gruppo, senza scatenare la derisione generale, a volte addirittura sfociante in aperta ostilità, da parte di coloro che leggevano ed erano influenzati dalla stampa musicale inglese."
Le analogie con il maestro van Rijn culminarono però nel 1997, quando "The Night Watch", pezzo ispirato ad uno dei capolavori immortali del pittore, venne adoperato per battezzare il doppio CD del concerto che i King Crimson tennero ad Amsterdam nel 1973 e che risultava ancora ufficialmente inedito, ad eccezione dei 27 minuti di registrazione inclusi nel memorabile "Starless and Bible Black". Questa ulteriore sovrapposizione delle imponenti figure dell'irrequieto alfiere dell'arte olandese ed il sovrano assoluto del progressive rock, ha molto di più del semplice omaggio fine a sé stesso e si rivela infatti nella manifestazione dell'eccellenza raggiunta dalla personalità e dall'intelligenza dell'animo umano, provocando, in chi si ritrovi ad ammirarla, un senso di vertigine e riverenza del tutto simile a quello che il nostro Rembrandt dovette aver provato raffigurando un meditabondo Aristotele, uno dei padri indiscussi del pensiero, in profonda contemplazione del volto di Omero, leggendario capostipite della poesia epica.
È difatti in una dimensione puramente poetica che proietta l'ascolto di "The Night Watch", dove non è possibile imbattersi in un singolo istante che non sia completamente permeato d'arte ai suoi massimi livelli espressivi; quasi che i Crimson non fossero neppure impegnati a suonare, ma a dipingere la propria musica sulla dinamica tela del palcoscenico, con un John Wetton intento a stendere la spessa imprimitura tramite dirompenti sferzate di basso ("Easy Money"), mentre la sua voce, roca e tormentata, si affanna ("Lament") nella ricerca di quel momento d'ispirazione, perfetto ed irripetibile, che sembra approssimarsi con le sopraffine pennellate della chitarra di Robert ("Book of Saturday"), per poi compiersi mediante il sopraggiungere del violino e della sua meravigliosa elegia ("The Night Watch").
Nonostante la rigida complessità di rappresentazioni rigorose e quasi geometriche, nel loro ineccepibile bilanciamento di ogni infinitesimale dettaglio ("Fracture"), e la penetrante intensità di macabre astrazioni ("Starless and Bible Black"), fatalmente sfocianti negli insondabili abissi di un ossessivo e prolungato straniamento ("The Fright Watch", "The Talking Drum"), è nei nostalgici e strazianti echi di un antico abbraccio tra mellotron e violino ("Trio") che risiede il cuore pulsante e straripante d'emozione di una pregevole testimonianza artistica, ulteriormente impreziosita dai temi malinconici e solenni impressi dall'archetto di David Cross ("Exiles") e sigillata dall'ineffabile destrezza di Bill Bruford e delle sue bacchette, magistralmente abili a dirigere le potenti cavalcate degli altri strumenti ("Larks' Tongues in Aspic - Part II") come anche a signoreggiarne i frequenti raptus apparentemente incontrollati ("21st Century Schizoid Man").
Alla luce di tutto questo è davvero ironico pensare come "The Night Watch" non sia neppure il vero nome del colossale dipinto al quale il lavoro in esame, perlomeno in parte, s'ispira. La verità è che la tela (la quale dovrebbe chiamarsi "The Company of Frans Banning Cocq and Willem van Ruytenburch"), dopo essere stata vandalicamente ridimensionata nel 1715 (non prima, fortunatamente, che Gerrit Lundens potesse effettuarne una copia a grandezza originale), rimase talmente a lungo alla mercé degli agenti esterni, scurendosi esponenzialmente durante il processo, che alimentò in seguito la falsa credenza che raffigurasse una ronda notturna, quando invece altro non è che la "foto di gruppo" della milizia cittadina di Amsterdam del 1642, ovvero di quei facoltosi mercanti che, nella sicurezza della propria città, si divertivano a giocare alla guerra, mentre il sangue scorreva davvero, ed in gran quantità, nei ben più pericolosi territori di confine.
Ulteriore conferma, questa, di come la vanità e l'infantile materialismo che da sempre hanno contraddistinto la nostra storia, siano ben poca cosa rispetto all'inestimabile valore dell'esperienza lasciataci in eredità da quei maestri, sempre coerenti con il proprio pensiero ed indisposti a scendere a compromessi con le convenzioni vigenti, dei quali Robert Fripp è un valido esponente, nonché saggio pensatore: "Osservo la ritrovata e crescente reputazione del cosiddetto "prog rock" con lo stesso sorriso di circostanza, le occasionali polemiche e i commenti acidi, il forte ed imparziale senso dell'umorismo con i quali ho guardato il suo precedente periodo di infamia e disonore. Anche questo passerà. Come pure ciò che gli farà seguito, a sua volta, passerà."
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