Chitarre che non si fermano mai, distorsioni disumane, muri di rumore, e ritmi cupi quasi tribali, basso cingolato, una voce roca perennemente incazzata, e ancora rumore, brandelli di punk, violenza. Ma non è violenza inflitta, è violenza subita, solo un modo per sfogare il disordine e la distruzione che possono essere dentro un qualsiasi ragazzo di venti anni australiano.

Noise, post-punk, garage, creativi come pochi, degenerati come i Tragic Mulatto ma più seri, spiazzanti come i No Trend, con i fiati che disturbano come se fosse free-jazz.

Australia dunque, Adelaide per la precisione nel 1985, una breve carriera fino al 1990, ma abbastanza tempo per pubblicare tre grandi album e suonare insieme a Sonic Youth, Big Black, Mudhoney, Helmet, Babes In Toyland, Lubricated Goat, feedtime e The Mark of Cain. I King Snake Roost sono senza pietà, ti tartassano le orecchie e la mente, sono una terapia verso ogni sentimento represso, meglio che distruggere un'automobile a martellate.

Le chitarre sono delle lame, affettano ogni tuo pensiero, e sangue cola da ogni nota, è difficile sentire una musica così trascinante e piena di rabbia.

Dopo ogni traccia sarete stremati, abbattuti, vi risulterà difficile credere che esiste un Dio. È un caos che ti riempie, che espande la tua mente e ti lascia vuoto e solo alla fine dell'album. È l'espressione di menti malate, possibile colonna sonora di "Spell-Dolce Mattatoio". È uno di quei dischi da non ascoltare in compagnia perché genera odio reciproco. Ma da ascoltare assolutamente perché difficilmente capita di provare emozioni così intensamente.

Apocalittici come i Pere Ubu la loro musica è una danza moderna per ragazzi che non sanno dove andare, che vogliono qualcosa e la vogliono subito, ma non sanno cosa. È musica figlia del suo tempo, che esprime l'insofferenza verso la vita contemporanea, ma cosa fare se non gridare tutto questo e rifiutare ogni forma di normalità?

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