Prendersi per mano, sul bagnasciuga, in una inquieta atmosfera, scorgendo all'orizzonte nubi tempestose restando noncuranti ad ascoltare il mare: soave contrasto tra pacatezza e furia incontrollata. Non sto parlando, cari amici, di uno stralcio della trama della ultima cine-panettonata tanto in voga di questi periodi  ma sto soltanto traducendo in parole ciò che ''Phlegethon'' -quarto lavoro dei progster nostrani Kingcrow- manifesta agli occhi (deliziosa ed esplicativa la copertina) ed alle orecchie dei fortunati che sceglieranno di dare fiducia a questa segnalazione.

Dopo il riuscito concept-album ''Timetropia'' targato 2006 erano altissime le aspettative che si erano create -almeno per me- sulla nuova uscita del combo guidato dai fratelli Diego e Thundra Cafolla (rispettivamente chitarra e batteria); quando si parla di prog-metal a fare la differenza non è tanto la ricerca e l'evoluzione di elementi non ancora sperimentati quanto la capacità di amalgamare fra di loro le varie influenze e sfumature musicali che -inevitabilmente- affiorano andando a sfornare songs di qualità che non risultino meri sfoggi di tecnica.

Ebbene, i Kingcrow tutto ciò lo sanno fare alla grande. Come già dimostrato in passato sono una band Progressive ma definirli solo tali sarebbe altamente riduttivo. Vediamo di spiegarci: a conti fatti delle 12 tracks qui presenti soltanto un paio seguono certi schemi inequivocabili riconducibili al genere suddetto: la multiforme e complessa suite ''Numb Incipit, Climax & Coda'' (con i Pain Of Salvation che fanno capolino in lontananza) e la strumentale ''Timeshift Box'' con chiare influenza Dream Theather nel riff principale. Tutto il resto è estremamente ancorato alle più varie suggestioni; si va dalla vigorosa ''Lovocaine'' di Tooliana memoria passando per ''A New Life'' brano che fa da trait d'union con le atmosfere hard rock di Insider (2003); oppure la toccante ''Washing Out Memories'' che regala momenti di squisita dolcezza degni dei migliori Porcupine Tree (quelli di "In Absentia" e "Fear Of..." per capirci) fino ad arrivare alle melodie folk di ''Island'' e ''Lullaby For An Innocent''. Tuttavia i pezzi che trascinano nell'Olimpo il disco risultano principalmente il singolo ''Evasion'' con il suo inizio elettronico ed il refrain ottimamente congeniato, ''Fading Out pt III''per il suo gradevole ibrido con ritmi al limite del flamenco e soprattutto la titletrack, apice e manifesto compositivo dell'album; il suo attacco così tetro e sussurrato fa da preludio ad un fantastico ed innarrivabile stacco funk per poi tornare su lidi drammatici e porre la parola fine alla fatica dei nostri, così come tutto aveva avuto origine nell'intro ''The Slide'': il suono delle onde del mare. Mare inteso -adesso è chiaro- come portatore vuoi di profonda sofferenza interiore vuoi di sconfinata euforia.

Tutti i membri di questo lucente ensamble (ricordiamo i non ancora citati Ivan Nastasi alla seconda chitarra, Cristian Della Polla alle tastiere, Francesco D'Errico al basso) sembrano dare il meglio senza voler strafare, ma una nota di merito va senz'altro al nuovo cantante Diego Marchesi autore di una prova sopra le righe con il suo timbro alla Geoff Tate.

Ho sentito, spesso per partito preso, tesi riguardanti le quali il metal italico lasci molto a desiderare. Ecco, acquistando ''Phlegethon''vi renderete voi stessi conto di quanto sia azzardata questa affermazione in certi casi e scoprirete una delle band prog più ingiustamente snobbate che abbiate mai conosciuto.

Ignorarli ancora sarebbe un delitto.

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