Dal punto di vista artistico il periodo musicale migliore di Klaus Schulze resta indubbiamente quello degli anni ‘70. Negli anni ‘80 il Maestro dell’elettronica ha pubblicato ancora capolavori (ricordo il doppio “Audentity”) ma anche tante schifezze. Il nostro ha avuto anche seri problemi di alcolismo che sembra abbia oggi faticosamente superato. A partire dagli ‘90 la sua produzione ha preso una piega ipertrofica che, a mio avviso, ha creato un po’ di confusione e di saturazione fra box celebrativi eccessivi come “The Ultimate Edition” (50 cd di musica!), preceduto peraltro da “Silver Edition” (10 cd), “Historic Edition” (10 cd) e “Jubilee Edition” (25 cd). Nel frattempo continua periodicamente a pubblicare dischi dignitosi ma senza più veri lampi di genio in cui emerge in ogni caso il suo sopraffino artigianato. Siccome sono un nostalgico di natura io ritorno sempre sui suoi storici dischi dei ‘70 come “Picture Music”, “Blackdance” e “Timewind” che ascolto anche di più dei celebrati “Irrlicht” e “Cyborg” (che ritengo, a scanso di equivoci, 2 capolavori). Schulze stava rendendo la sua musica più accessibile e melodica senza per questo banalizzare la sua proposta. Se avete preso la cotta per l’elettronica gli album citati sono dei veri e propri must . Anzi “Blackdance” è un disco adorato da Steven Wilson dei Porcupine Tree. “Timewind” in particolare è forse il suo lavoro più magniloquente, decadente ed epico. “Timewind” è dedicato a Richard Wagner, un’influenza molto importante per il musicista tedesco. Per capire il suo background musicale occorre immergersi nella cultura teutonica, nell’immaginario evocato dal citato Wagner e dalla filosofia di Friedrich Nietzsche. Ma non preccupatevi Klaus Schulze non è ma i stato un nazista. “Timewind” risplende ancora oggi di un’aura cosmica di una tristezza infinita. Sul lato A “Bayreuth Return” è pacata, quieta e meditativa, un anticipo di quello che sarà il classico “Schulze sound”. Qualcuno magari potrà pensare che si tratti di tappezzeria sonora ma non è questo il caso: qui la musica è profonda e ha un senso pur essendo rilassante. Sul lato B “Wahnfriend 1883” è invece un vero e proprio capolavoro senza tempo, caratterizzato dai bordoni generati dall’organo che si stratificano progressivamente e ci proiettano letteralmente nello spazio in una dimensione atemporale e metafisica che ricorda un po’ il finale di “2001: Odissea nello spazio” (al nostro piaceva Ligeti) senza però nessuna concessione al kitsch. Su questo disco ci hanno mangiato in tanti: non è pensabile immaginare la musica del più celebrato Jean Michel Jarre senza considerare quanto fatto da Schulze. Ma lo stesso Steve Roach si cibava a colazione di questo disco e tutta l’ambient e la new age gli devono molto.

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