Citare fra le proprie influenze qualsiasi gruppo krautrock è diventata prassi per essere ammessi di diritto (indipendentemente da reali meriti artistici) nella cerchia simil massonica dei gruppi avant-qualsiasicosa. Basta sguinzagliare una chitarra dal timbro acidulo, su un tappeto di VCS3 allineato su coordinate monotonali e subito elogi per i rimandi agli Ash Ra Tempel o ai primi Tangerine Dream. Butti lì un synth dal suono proto-elettronico per un quarto d'ora filato, e un cantante che rantola cose insensate al microfono, ed ecco un sottile richiamo a Can e Faust. E non importa se il resto del disco non c'azzecca una mazza, le credenziali illustri vengono colte e l'attenzione della nicchia è risvegliata.
Negli ultimi tempi però stanno aumentando quei gruppi che non citano vagamente il krautrock, ma che sembrano presi di peso dalla Dresda del '72 e catapultati a forza nell'attualità. Un citazionismo elevato al cubo, insomma, che se da un lato non sembra una furbesca scelta artistica, dall'altro relega tali entità a cloni degli originali. Con la conoscenza oramai capillare del panorama tedesco dei '70, molte nuove band diversificano le fonti di ispirazione. Non il sound kraut in generale, ma gruppi specifici dell'ambito. I La Otracina hanno scelto i Guru Guru del batterista tentacolare Mani Neumeier.
Titolari di un'infinita sequela di Cd-R, approdano all'album (diciamo) ufficiale grazie alla beneamata Holy Mountain, etichetta sempre più interessante per qualità e originalità dell'offerta (vedi Mammatus, Blues Control e altri). Le 5 tracce presenti sono figlie di un flusso di coscienza musicale unitario, fra i Guru Guru più liquidi e ipnotici e gli Ash Ra Tempel perennemente in jam session di "Join Inn". "Beyond The Dusty Hills" ne è un esempio perfetto e una riproduzione quasi pedante, seppur con un approccio all'improvvisazione encomiabile. I 10 min. di "Sailor Of The Salvian Seas" giocano con un giro di chitarra hard rock, proponendolo ostinatamente per poi deformarlo e decostruirlo sotto una lente post rock, con la batteria che si fa letteralmente i cazzi suoi, prendendo una tangente free jazz. "Ode To Amalthea" onora i Pink Floyd di "Echoes" e il motivo di "Incontri Ravvicinati del terzo tipo", con la solita batteria free a rendere meno lineare l'altrimenti pacifico viaggio nello spazio profondo. L'episodio più centrato rimane l'iniziale "Yellow Mellow Magic", che in 6 minuti condensa soluzioni e atmosphere musicali dell'intero disco.
Un disco per pochi, ma non per l'eccessiva difficoltà di ascolto, quanto per la prolissità e la forse eccessiva attinenza alle fonti. Avvertiti.
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