Esattamente 33 anni fa, nel febbraio del 1981, veniva dato alle stampe il secondo LP dei Landscape, una formazione britannica nata a metà anni 70, che di li a poco avrebbe aderito alla nascente scena New Wave e classificato come New Romantic.
Il titolo dell'album, "From the Tea-Rooms of Mars..to the Hell-Holes of Uranus", che in italiano significa "dalle sale da te di Marte fino ai buchi infernali di Urano", evoca mondi remoti e misteriosi. La copertina, dai colori caldi eppure fredda, livida, è pressoché incomprensibile e si presta a interpretazioni soggettive: potrebbe raffigurare una strana tazzina da te che sta scivolando verso il baratro.
I crediti raggruppano le tracce (10) in "From the Tea-Rooms..." e in "to the Hell-Holes of Uranus" e per questo l'album si può definire un concept. Se dal punto di vista stilistico le somiglianze sono lampanti, da quello concettuale i brani cantati affrontano l'Occidente e i suoi vizi come argomento principale. Fa eccezione in tutto e per tutto "Norman Bates", un azzeccatissimo fuori tema.
Il disco si apre con "European Man", uscito nel 1980 come singolo anticipatorio. I primi 50 secondi sono un brivido lungo la schiena: il desolato e straniante paesaggio ambient, fatto di ipnotici vortici di archi sintetici che sovrastano le essenziali note di pianoforte, è solo un frammento ma bastante per invogliare all'ascolto di un gruppo finito nel dimenticatoio come i Landscape. Dopo il fragoroso scoppio di batteria elettronica in cui l'intro culmina, tromba e chitarra elettrica cambiano per sempre l'atmosfera movimentandola, e ora a non levarsi più dalla mente è il modo in cui viene cantato il ritornello.
Si prosegue con "Shake the West Awake", una scoppiettante canzone pop tipicamente primi anni 80 che potrebbe essere stata composta dagli Heaven 17 e che, tutto sommato, non è affatto male.
Dopo questo deja vu sonoro, è la volta di "Computer Person", forse il momento più compiuto ed equilibrato, vagamente maliconico e con un titolo che sa di futuro. Si tratta fondamentalmente di uno strumentale nonostante le poche frasi pronunciate da una voce robotica.
Arriviamo quindi alla traccia numero 4, quella col titolo più astruso, "Alpine Tragedy/Sisters", altro strumentale che parte riflessivo per poi farsi addirittura trionfale. "New Religion" potrebbe essere la sua naturale prosecuzione se non ci fosse "Face of the 80s" a separarle. "New Religion", anch'essa strumentale, è la traccia più speranzosa dell'intero disco, caratterizzata da un suono casalingo. "Face of the 80s" invece ricorda "Olympic Games" di Miguel Bosè.
Si giunge così al brano che diede la fama ai Landscape: "Einstein a Go-Go", successo dovuto probabilmente al motivetto eseguito con il flauto che lo rende molto orecchiabile nonché originale. La sua leggerezza però è solo formale per via del contenuto apocalittico: l'umanità verrà punita nel giorno il giudizio universale, le cose verranno messe al loro posto ma senza alcun avvertimento. Questo spiega la conversazione telefonica che precede il brano, che vorrebbe annunciare l'imminente catastrofe. Cosa c'entra Einstein? C'entra perché tale fenomeno può essere riassunto nella famosa formula E=mc2 citata anche nel testo.
A ruota "Norman Bates", il secondo brano più conosciuto dei Nostri. Meritatamente assurto alla nomea di classico, come già scritto, non ha niente a che fare col disco. Se non sapete chi sia Norman Bates, verso la fine del brano una voce fuori campo dipana la sua tragica vicenda e scopriamo così che si tratta del protagonista di Psyco. Il brano, che dura oltre 5 minuti, è si cupo e decadente ma allo stesso tempo, beffardo nel cantato.
"The Doll's House", ennesima traccia strumentale, possiede qualche buono spunto ma non porta da nessuna parte se non alle note iniziali della title track, il brano più ibrido in assoluto, con il quale i Landscape sono stati capaci di fondere e sublimare le loro due anime, quella sintetica e quella jazz. "From the Tea-Rooms of Mars..." di lungo non ha solo il titolo ma anche la durata, quasi 8 minuti, ed è costituita da tre movimenti. Il primo (The Beguine) inizia con il suono di un giocattolo elettronico per poi diventare la quintessenza della nostalgia durante l'assolo di sinth sia "nudo" che cantato. La seconda parte (Mambo) e la terza (Tango) sono strumentali caratterizzate dalla tromba sempre in piano, ora buffa, ora distorta e stanca. Da non dimenticare la voce maschile che interviene saltuariamente, prima nell'inciso, per presentare con enfasi il brano, e poi a metà e fine esecuzione.
Di certo "From the Tea-Rooms of Mars..." non è un disco noioso, ed è senza dubbio un piccolo capolavoro da recuperare proprio perché oscuro. Anche se i pezzi minori non mancano, quelli validi (8 su 10) non posso essere definiti semplicemente canzoni. Per chi non si è mai stancato degli anni 80 e anzi vuole continuare ad approfondire la conoscenza della New Wave, questo disco vi soddisferà a tal punto che a voi stessi direte: ma come ho fatto a non averlo scoperto prima?
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