A parte di un singolo per la CBS, “E Il Mondo Va” (1968), la produzione de Le Stelle, messe insieme nel firmamento del rock e della musica sperimentale dall’ “Andy Warhol italiano”, Mario Schifano, portavoce sotterraneo di una sorta di maledettismo pre-sessantottino, consta di un unico LP, pubblicato l’anno precedente – il mitico ’67 dei Velvet Underground e dei Doors in America, dei Pink Floyd in Inghilterra – sotto la supervisione e grazie al sostegno del loro lisergico leader, che di sesso e di droga conditi di misticismo se ne intende (è stato l’amante di Anita Pallenberg, che, più tardi, proprio nel mitico ’67, salirà ai “disonori” della cronaca come compagna ufficiale di Keith Richards).

È proprio al fianco della giovane modella che l’artista nato nella Libia Italiana fa il primo viaggio a New York, nel 1962, e ha, così, l’occasione di conoscere il Padre della Pop Art e Gerard Malanga (co-autore, insieme a Victor Bockris, della biografia sui Velvet Underground, “Uptight: The Velvet Underground Story”, tradotta in italiano come “Velvet. I Velvet Underground e la New York di Andy Warhol”), frequentandone la Factory, al tempo appena nata.

Come il suo Maestro, Schifano nasce artista figurativo, negli anni ’50, lungi dal figurarsi manager di un gruppo rock (considerando, anche, che, fino ai primi anni ’60, non esistono delle vere e proprie rock band, in quanto la scena è guidata quasi esclusivamente da solisti che si fanno accompagnare da strumentisti, che passano in secondo piano, dichiarandolo a partire dai nomi, uno tra tutti “Bill Haley & His Comets”).
Si ispira all’arte informale, della quale assorbe l’astrattismo, in tutto e per tutto dogmatico, in quanto rientrante nello spirito alternativo del tempo (la guerra ha lasciato il segno). Alla fine degli anni ’50 frequenta il romano Caffè Rosati, bazzicato da gente non proprio anonima – o che, perlomeno, si farà un nome poi – come Pasolini, Moravia e Fellini. La Pallenberg, romana di nascita, non a caso gravita intorno al bar, dove, appena ventenne, conosce Schifano.

È esattamente nella prima esperienza newyorkese di Schifano che si riconosce la Genesi del suo interesse (che è più che un interesse) per la vita mondana e per un’esistenza provata e provante, divisa tra strada e locali per “angeli caduti” e “figli europei”.
Aneddoto interessante: a Roma, Mario conosce il regista Marco Ferreri e il poeta Giuseppe Ungaretti; a quest’ultimo, già ottantenne, offre una serata al Peyote.
A Londra conosce i Rolling Stones – ed ecco che la Pallenberg prima si fa possedere dal satiro Brian Jones, poi dal “fumatore di ceneri paterne”.
La psichedelia è nell’aria, sta diffondendo i suoi germi intorno, stuzzicando l’appetito degli artisti anglo-americani; Schifano è un “cittadino di mondo” e non può non esserne rapito.
Nel ’66-’67, grazie alla “consulenza” dell’amico Ettore Rosboch, appassionato di musica quanto lui, forma Le Stelle (Giandomenico Crescentini, ex New Dada, al basso; Urbano Orlandi alla chitarra; Nello Marini alle tastiere e Sergio Cerra alla batteria). Dal vivo gli “happenings” sono corredati da light show di matrice americana (Velvet Underground) e inglese (Pink Floyd) – questo nulla toglie all’originalità della “trovata”, in Italia assolutamente necessaria, perché unica e mai ripetuta Esperienza (extra)sensoriale. La musica è fortemente ispirata ai due gruppi sopracitati – senza dimenticare, poi, i Red Crayola, texani invasati che Schifano sicuramente conosce.

L’unico leggendario LP de Le Stelle di Mario Schifano, “Dedicato A” è composto da sei tracce: la prima occupa l’intero lato A del Vinile, e prende il nome di “Le ultime parole di Brandimante, dall’Orlando Furioso, ospite Peter Hartman e fine (da ascoltarsi con tv accesa, senza volume)”. Un titolo bizzarro per quella che forse è l’unica Suite psichedelica della storia della musica italiana. Già dal titolo si propone l’Esperienza, non la semplice e distratta fruizione che, oggi più che mai, è un cancro per la Cultura e per l’Arte. Julian Cope, musicista e musicologo, nel suo blog Head Hermitage, dirà sul brano in questione: “Ettore Rosboch e Mario Schifano decisero sfacciatamente che se volevano dare l'idea di essersi spinti più in là di qualunque altro, non si potevano permettere di nascondere il loro capolavoro sul secondo lato. No, questo figlio di puttana sarebbe diventato la loro dichiarazione d'apertura”. Blues, echi di musica medievale, rock psichedelico, spoken word: tutto nello stesso calderone.
Le “canzoni” del secondo lato non sono da meno per inventiva, anche se, in apparenza (solo in apparenza), non si ergono allo stesso livello della precedente Maestosità. Concorrono diverse affinità con le illustri band estere, citabili, in questo senso, all’infinito; le "canzoni" più originali e rilevanti sono “Molto alto”, il cui testo sembra alludere a una danza tribale, “E dopo”, e “Intervallo”, là dove la parte vocale è incomprensibile, quindi ha una funzione sonora, strumentale.

Mario si solleva dal proprio “incarico”, lasciando Le Stelle al proprio destino – cioè lo scioglimento – dopo “Grande angolo, sogni e stelle”, evento al Piper Club, risalente al 28 Dicembre 1967. Si sa, le stelle sono effimere: i quattro musicisti “si spengono”. Schifano, dopo Anita, finisce tra le braccia di Marianne: Faithfull, un’altra “fan sfegatata” degli Stones.

A parte le Stelle, solo un’altra band italiana inciderà dei brani che si possono considerare psichedelici: i Chetro & Co. Ma questa è un’altra storia.

Elenco e tracce

01   Le Ultime Parole Di Brandimante, Dall'Orlando Furioso, Ospite Peter Hartman E Fine (Da Ascoltarsi Con TV Accesa, Senza Volume). (00:00)

02   Molto Alto (00:00)

03   Susan Song (00:00)

04   E Dopo (00:00)

05   Intervallo (00:00)

06   Molto Lontano (A Colori) (00:00)

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Altre recensioni

Di  Lewis Tollani

 “Dedicato A…” è, da un punto di vista musicale, uno snodo cruciale per la musica europea, tutta.

 Bradimante evoca visioni ancestrali e presagi di un oscuro avvenire, dove estratti di jingles pubblicitari si sciolgono in un madrigale.