It's A Long Way To The Top (If You Wanna Rock ‘ N Roll), avrebbero cantato solo qualche anno dopo questa release, dei non più esordienti AC/DC! Per quel che è la mia  modestissima conoscenza storico-musicale, ho potuto constatare  che qualsiasi band agli inizi, abbia sempre dovuto sgobbare fino allo sfinimento, per intravedere la lontana possibilità di raccogliere qualche meritato frutto nel futuro più prossimo. L'impegno e la fatica naturalmente, vanno invece a moltiplicarsi alla ennesima potenza, per tutti coloro che oltre ad essere a ragione ricordati per aver lasciato qualche importante segno del proprio passaggio, siano  riusciti ad imprimere nella storia del rock, un'indelebile incisione in grado di sopravvivere all'imprescindibile  trascorrere del tempo.

Quanto sopra detto non può che trovare piena applicazione nella storia dei Led Zeppelin, che dopo il  primo lavoro pubblicato nel marzo del 1969 (negli U.S.A. fu anticipato al mese di gennaio), ha visto i quattro musicisti impegnare buona parte dello stesso anno a promuovere il citato disco, riservando tempi ridotti all'osso per l'incisione del secondo capitolo. Ricordiamo che le tournée del periodo, li hanno visti protagonisti tra gli Stati Uniti, l'Europa ed il Canada, riuscendo comunque a ritagliare del tempo per le registrazioni della nuova produzione ovunque si trovassero, dagli Olimpic Studios di Londra al Mirror Sound di Los Angeles, dagli A&R  Studios di New York  all'Hut di Vancouver.

Attraverso questi brani è possibile degustare una esemplare rielaborazione degli stilemi blues e rock che avevano contraddistinto il genere sino a quel momento, come  una esclusiva ricerca di soluzioni melodiche, condite in toto con un suono grezzo e schietto che ne personalizzerà l'elitaria identità dell'album. La preponderante personalità di Jimmy Page si manifesta in tutto il suo egocentrismo,   - dalla tutela dell'autonomia artistica all'incontenibile  sviluppo del suo innato istinto musicale -,  indirizzando la sua volontà in maniera prioritaria a far   capire a chi ascolta, che il gruppo suona nella direzione musicale da lui stabilita.

Un colpo di tosse (?) dà inizio ad uno dei riff storici del rock, in cui un basso incursore fa ingresso insieme alla virile voce di Plant, con un deciso e corposo drumming   a completare il quadro. Il suo nome è  "Whole Lotta Love", dove oltre all'energica struttura portante del suono Led Zeppelin, troviamo proprio di tutto: dal finto orgasmo vocale, ai diversificati suoni prolificati da Page (attacco al Napalm sul delta del Mekong, donne in eccitazione spasmodica, treni in frenata, ecc...) ad una presenza di Bonham non sempre in primo piano, ma incessantemente necessario. Insomma una traccia che sarà il punto di partenza per la band, per la costruzione di quella reputazione di padri dell'hard rock che si porterà appresso per tutta la carriera  più di quanto non faccia il lascivo testo, aiutando la critica a anche a definire gli Zeppelin come degli incontenibili sporcaccioni (I don't want ah- (?) You've been coolin'  an' baby I've been droolin'. All the good times, baby I've been misusin'. A-way, way down inside, I'm gonna give you my love, I'm gonna give ya every inch of my love, I'm gonna give ya my love. Hey! Alright! Let's go!: Non lo voglio-ah. (?)  Ti sei raffreddata, baby, io sono venuto,  Tutte le volte che mi è andata male, Giù, dentro, dolcezza, ti darò il mio amore, Ti darò ogni centimetro del mio amore, Hey! Alright! Let's Go!).  Una sensazione totalmente differente si viene a percepire con "What Is And What Should Never Be", dove le regolari contrapposizioni (aiutate anche da una coraggiosa attività di mixing)  tra la mitezza della strofa e l'asprezza del ritornello,  contribuiscono fortemente a garantire un brano di finissima qualità. Potrebbe quasi sembrare la registrazione di un soundcheck il graffiante ingresso di "The Lemon Song", ma non è solo questo di cui si tratta. Infatti l'ispirazione, che proviene schiettamente da "Killing Floor" del celebre Howlin' Wolf, rappresenta la base da cui prende vita una fiera e risoluta performance blues, in cui chitarra e voce colloquiano come dei vecchi amici conseguendo un'insinuante influenza reciproca.

Senza nulla togliere all'evidente valore delle  tracce sin qui ascoltate, un elogio particolare per  la  sublime  "Thank You", che ha nell'acustica a dodici corde lo strumento portante e nella solennità dell'organo, il raggiungimento della perfezione di un pezzo, che rappresenta anche dal  punto di vista del testo, una delle dichiarazioni d'amore più incantevoli mai messe in musica. L'atmosfera incandescente tracciata all'inizio del disco viene rimessa in pista da  "Heartbreaker", una vero e proprio training course per il riscaldamento delle dita di Page, che non si lascia scappare di mano l'occasione per far fuoriuscire dagli speakers un rabbioso solo usato intuitivamente in apertura, che lascia ad un'ardimentosa interpretazione vocale,  il ruolo di collegamento con una successione di sensazionali assoli e mordenti dosi di bending.  La seguente "Living Loving Maid (She's Just A Woman)"  è un egregio episodio, in cui a risaltare è il vigore ritmico dell'accoppiata Jones/Bonham, che si confà perfettamente ai doppi sensi del goliardico testo (Come on baby, on a round-a-about,  Ride on a merry-go-round. We all know what your name is  So you better lay your money down. Livin' lovin', she's just a woman:  Vieni baby, sulla giostra. Monta sulla giostra. Tutti noi sappiamo come ti chiami. Così sarebbe meglio che lasciassi qui i tuoi soldi. Vive, ama, è una donna davvero ).  "Ramble On" (che come la precedente porta la firma di Page e Plant) è un brano assai significativo, per come i due principali compositori del gruppo, cominceranno in maniera audace ad individuare  l'abile arte di miscelare scenari elettrici ed acustici. "Moby Dick" ( in cui per quasi tre minuti c'è Bonham dietro i tamburi, dove anche le mani nude svolgono un ruolo tutt'altro che secondario), è la traccia in cui nei restanti novanta secondi (suddivisi tra la parte iniziale e quella finale), ad emergere, è il contributo esecutivo di ogni singolo membro nel far vibrare il proprio strumento che se separato dagli altri, non farebbe mai supporre il raggiungimento dell'eccellente risultato finale, contraddistinto da  quella compattezza e impeto che solo insieme è stato possibile conseguire. Durante il live act, il versatile drummer arriverà  a dilatarla, occupando lo stage per la sua esecuzione, per circa venti minuti. Ancora tempo per l'ascolto di  "Bring It On Home" (che sia all'inizio che alla fine omaggia Sonny Boy Williamson per cui la scrisse Willie Dixon!), un blues elettrico guidato dalla Gibson di Page e dall'instancabile gola di Plant, che portano dritto al capolinea del lavoro.  

Siamo ben consci di parlare di un gruppo che a neanche un  anno dalla pubblicazione di un  primo illustre lavoro, si trova nel contempo a dover fronteggiare sia la crescita di un'eccezionale popolarità quanto a dover dare alle stampe un seguito (ribadiamo per quanto assemblato nei ritagli di tempo di musicisti e tecnici), che in cuor proprio sapeva essere stato mirabilmente realizzato. Un prodotto  che già dal primo ascolto, denota una band che in poco più di un anno è straordinariamente cresciuta, lasciando fuoriuscire passionalmente un magic sound impulsivo e trascinante, che si mostra come il fedele specchio di chi sembra possedere la mappa per la scala verso il paradiso (the long way to the top!?), oramai prossima ad essere eretta........e il dirigibile cominciava a volare alto...

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