Una piccola premessa, prima di iniziare con la recensione vera e propria: non ho assolutamente nulla contro quegli artisti che, magari per ambizioni o perché semplicemente vogliono ampliare il proprio pubblico, fanno il salto dalla scena indipendente a quella mainstream. Regina Spektor, per dirne una, c’è riuscita benissimo, magari perdendo un po’ in fantasia compositiva, ma la vena autoriale presente nei suoi primi dischi (quelli autoprodotti e registrati alla bell’è meglio) è la stessa che si può trovare nei suoi lavori più recenti, la cui unica pecca è una produzione a volte eccessivamente laccata. Cosa c’entra tutto questo con Levante?
Semplicemente, anche lei da inizio anno ha palesato la voglia di fare con la sua musica numeri decisamente più grossi di quelli con cui si riempiono i club, ma tra un evitabile romanzo pubblicato a gennaio e la collaborazione con Fedez e J-Ax nel bruttissimo singolo “Assenzio” non è che le premesse dietro a questo “salto di qualità” fossero proprio incoraggianti. Anche il primo estratto “Non me ne frega niente” non aveva convinto al massimo, non tanto per testo o melodia (quelli sì, sempre nello stile della cantautrice torinese), ma per i suoni, commerciali e plastificati, decisamente lontani da quelli più eleganti e raffinati di “Abbi cura di te”. Fortunatamente l’ascolto completo di “Nel caos di stanze stupefacenti” fa tirare un bel sospiro di sollievo: detto subito che le vette del precedente album sono lontane, il nuovo disco di Levante altro non è che un disco pop onesto che cambia le vesti con cui i pezzi si presentano (bassi e percussioni imponenti, tocchi di elettro-pop e qualche synth piazzato qua e là) ma non la loro essenza melodica e testuale. Lo stile di scrittura e composizione di Levante è rimasto infatti intatto e funziona benissimo in pezzi come il duetto con Max Gazzè, praticamente un tormentone estivo assicurato e ben più gradevole dei vari “Despacito”, o “Io ti maledico” e “Diamante”, che beneficiano quanto basta delle nuove sonorità abbracciate dalla Lagona. Va comunque detto che, rispetto al passato, i colpi a vuoto qui sono di più: pezzi come “Le mie mille me” e “Gesù Cristo sono io” sono palesemente pensati per la dimensione live (in cui peraltro funzionano benissimo), ma su disco non dicono granché, e soluzioni come le strofe semi-rappate di “1996 La stagione del rumore” erano decisamente evitabili.
Considerato però che l’obiettivo di Levante, con questo disco, era palesemente quello di ampliare il proprio pubblico, non ci si può lamentare più di tanto: la ragazza sa ancora come scrivere dei buoni pezzi e ogni tanto un po’ di pop disimpegnato, specie se fatto bene come in questo caso, non fa di certo male. Il temuto salto nel mondo delle classifiche è stato dunque fatto e, per ora, sembra che la nostra sia atterrata bene, basta solo che, già dal prossimo disco, l’ambizione a fare grandi numeri non abbia il sopravvento: un duetto commerciale e un disco più leggero ogni tanto ci stanno, però che non diventino un’abitudine!
Carico i commenti... con calma