“From Zero?

“Yes”

“Like…from nothing?”

Si apre con questa intro, avvolta in un coro di voci armoniose, il disco che sancisce il ritorno tanto atteso, quanto inaspettato, dei Linkin Park. “From Zero”, per ricominciare daccapo e per ricordare, con dovuta assonanza, da dove tutto è partito, ovvero dagli “Xero”, prima formazione di Mike Shinoda e Mark Wakefield.

Sono passati quasi otto anni dalla morte di Chester Bennington e tra il silenzio assordante dei componenti della formazione di Agoura Hills e l’uscita di una manciata di vecchie b-sides a titolo di inediti, si avvertiva la netta sensazione che la storia dei Linkin Park fosse giunta al capolinea.

Niente di più sbagliato. Mike Shinoda, in occasione della presentazione della nuova lineup, ha confessato di non aver mai abbandonato l’idea di continuare.

Il 2024 è stato l’anno della rinascita e dell’arrivo di Emily Armstrong, voce dei “Dead Sara”, band underground sconosciuta ai più. Con lei, il batterista (polistrumentista e produttore) Colin Brittain, che ha riempito il vuoto lasciato da Rob Bourdon, deciso a non prendere parte al nuovo corso.

Il resto della formazione è rimasto quello degli esordi, con Brad Delson assente dai palchi (al suo posto il turnista Alex Feder) ma parte attiva in studio e in tutte le attività della band.

Le cose sono state messe in chiaro fin da subito: nessuno potrà mai sostituire Chester Bennington. Chi ha preso il suo posto l’ha fatto in punta di piedi, consapevole di farsi largo in una fitta trama di diffidenza.

È bene dire anche che la scommessa è stata oggettivamente vinta: Emily Armstrong è una cantante carismatica e dalla notevole vocalità. Non possiede la potenza di Bennington nello scream e growl (per ovvi motivi) ma non sfigura minimamente al coerente confronto, vincendo ai punti quando si tratta di melodia, dove l’ex frontman non eccelleva completamente.

Ma veniamo al disco. “From Zero” è tutto ciò che i fan di vecchia data speravano di sentire e una bella realtà per chi non si è mai approcciato alla musica del vecchio corso.

È un lavoro molto prudente ma molto ben fatto. Il primo singolo “The Emptiness Machine”, con la sua melodia catchy, che si appiccica al cervello, aveva fornito le coordinate fin da subito, conquistando bene o male tutti. Il rappingtirato a lucido di Shinoda, incastrato alla perfezione con la voce ruggente di Armstrong e accompagnato dai riff scanzonati di Brad Delson, ci hanno riportato fin da subito ai tempi di Meteora.

“Cut the Bridge”, che segue, ci fa capirecome recuperare la bellezza del passato sia cosa buona e giusta. Mr.Han, con i suoi piatti, introduce il rullante agitato di Brittain e la mente ci riporta in un lampo ai refrain di “Bleed It Out”, anno 2007, da “Minutes To Midnight”.

Lo stesso accade con “Heavy Is The Crown”, una delle tracce più potenti della tracklist, che vede Emily scatenarsi in uno scream forsennato, tramite il quale ci dice quanto sia pesante l’eredità che le spetta e quanta responsabilità lei abbia. Ci sono i riff e l’elettronica del periodo di massimo splendore e quel pizzico di effetto nostalgia rende il tutto davvero notevole.

Il picco dell’aggressività arriva con “Casualty”, che non ci dà neanche il tempo di scaldare i motori, prima di esplodere. Mike, in questa occasione, propone a sua voltauno stile aggressivo e del tutto inedito. Nelle parentesi di parlato sussurrato, Emily ricorda in toto Jonathan Davis dei Korn, mentre si mischiano scratch in lontananza, che anticipano un cantato diabolico alla Hatebreed.

Dopo tanta rabbia, non può mancare la melodia. “Over Each Other” dà un’opportunità alla nuova voce di mettersi completamente in luce. Il timbro della frontwoman ricorda molto quello di Lzzy Hale degli Halestorm, anche nello scream. Non a caso la Hale era tra le papabili candidate al nuovo corso (aveva tratto in inganno la sua versione unplugged di “Crawling”, fatta girare ad arte sul web). Il cantato parla della fine di un rapporto di coppia, rovinato dall’impossibilità di confrontarsi in modo chiaro, perché troppo abituati a “parlarsi sopra l’un l’altro”.

Molto bello il testo in tanti suoi passaggi:

“This is the letter thet I didn’t write,

Lookin’ for color in the black and white

Skyscrapers we created on shaky ground

An I’m tryna find my patience”

C’è anche il dovuto spazio per l’estro di Joe Hahn e i suoi sintetizzatori con “Overflow”. Elettronica, voce suadente e rime si uniscono in un amalgama ritmato e molto gradevole, che richiama all’ordine quanto fatto in passato con “A Thousand Suns”.

“Two Faced” e “IGYEIH” (I’llGiveYouEverything I Have) gasano e agitano, riportando a galla la potenza di “The Haunting Party”e le classiche e sempreverdi soluzioni dell’immortale “Hybrid Theory”.È particolarmente evidente un dualismo del tutto nuovo tra le voci; si avverte grande affiatamento e Mike Shinoda viene chiamato in causa molto più spesso rispetto al passato. È in episodi come questo che Emily Armstrong da completamente sfogo a se stessa. Diventa un fiume in piena, senza lesinare parentesi di serrato hardcore, mentre canta di temi fedeli al passato come il malessere, l’angoscia, la salute mentale, costruendo un collegamento con chi, prima di lei, sfogava nel songwriting tutte le proprie frustrazioni a scopo curativo.

La sopracitata sintonia è tanto evidente dove c’è potenza, quanto dove regna l’armonia. Contribuisce alla causa “Stained”, perfetta per la dimensione live e dall’indubbia indole radio friendly, che si fissa in testa con la sua sintetica semplicità.

Ma è con “Good Things Go”, scelta opportunamente come closing song, tra arpeggi di chitarra e parole dall’alto tasso emotivo,che si vuole far passare davvero il messaggio. Emily culla le malinconiche riflessioni del cofondatore della band sul suo recente passato:

“Fells like it’s rained in my heart for a hundred days.

Stare in the mirror and I look for another face

And I get so tired of putting out fires and making up lies

Checking my eyes for some kinda light…”

Si è discusso tanto, se fosse opportuno mantenere per il nuovo progetto il vecchio moniker della band. C’è chi ha esternato il proprio disappunto, chi lo ha fatto per la presenza di una donna dietro il microfono. Chi ha mosso accuse di ipotetiche profanazioni della memoria di Chester Bennington (come il suo primogenito, tra gli altri).

Trovo che tutte le scelte siano state fatte in modo coerente e ragionato, partendo dal presupposto che nel cuore dei seguaci e nella lettura oggettiva della realtà, Chester Bennington non potrà mai essere sostituito da nessuno. Scegliere una figura femminile mette al sicuro da buona parte delle critiche e porta fascino e aria nuova.

Un nuovo nome avrebbe annullato qualsiasi idea di continuità, archiviato poco opportunamente una lunga storia fatta di successi e ricondotto ogni futura scelta stilistica a un vecchio libro di memorie.“Chez avrebbe sicuramente amato Emily e approvato con entusiasmo le nostre scelte. Odiava l’odio e le critiche severe”. Così Mike Shinoda ha archiviato ogni critica con il sorriso.

Il 16 maggio 2025, a sei mesi esatti dalla pubblicazione della versione standard del disco, esce la Deluxe Edition, caratterizzata da tre pezzi inediti e cinque tracce live, registrate durante il “From Zero World Tour”.

La cosa ha lasciato molti fan perplessi, dato che è alquanto raro e decisamente inopportuno pubblicare una versione estesa, dopo un lasso di tempo così limitato. Oltre a puzzare evidentemente di mossa prettamente commerciale, da idea di quanto sia stata frettoloso l’operato della Warner, talmente al limite con i tempi di registrazione, da dover suddividere in due passaggi la pubblicazione di tutte le tracce previste. “Up From The Bottom”, che guida il trittico delle novità, è una sorta di sequel melodico e narrativo di “The Emptiness Machine”. Tra rapping e cantato edulcorato dal sintetizzatore, il pezzo trasmette elettricità e potenza alla tracklist, facendo seguito all’iniziale riflessiva closing “The Good Things Go”.

“Unshatter” continua sulla stessa linea ma con un ritmo più sincopato e aggressivo, che porta a un bridge carico di scream mentre “Let You Fade” sale di livello ma gravita in una domensione pop-rock, con ritornelli più catchy. In quest’ultimo episodio, Shinoda spazia tra cantato e rappato, fondendo la voce con quella della Armstrong.

“From Zero” deve essere giudicato liberandosi dai pregiudizi, figli di un passato che non c’è più ma che con il nuovo ciclo potrà sopravvivere in futuro. È un lavoro completo, maturo e molto ben fatto, con la complicità dell’effetto nostalgia che, se dosato a dovere, rende tutto molto affascinante. Arruolare Emily Armstrong è stata la scelta giusta e siamo sicuri che Chester Bennington ne sarebbe orgoglioso, come suppongono in primis i suoi vecchi compagni di viaggio. In fondo, chi può dirlo, potrebbe essere stato lui il mandante silenzioso.

Che questo disco sia l’inizio di un nuovo ciclo, che risollevi degnamente l’entusiasmo perso con l’ultimo “One More Light” e lenisca la malinconia portata dalla scomparsa di uno dei più carismatici frontman degli ultimi trent’anni, mantenendone sempre viva la memoria.

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