Per nove lunghissimi anni è rimasto il suo ultimo album di inediti. Solo da qualche mese ha rotto un silenzio che cominciava a farsi preoccupante, anche se da un'artista autentica come Loreena McKennitt, assolutamente estranea alle logiche commerciali, non si può certo pretendere la piatta routine di un disco ogni anno o al massimo ogni due, magari zeppo di riempitivi ma sfornato al momento giusto per contentare la casa discografica. Se non altro perché la casa discografica (Quinlan Road) è sua personale e ciò, oltre a consentirle una totale libertà espressiva, garantisce a noi ascoltatori dischi unici, cesellati con cura certosina e passione artigianale, che spiccano nettamente in mezzo ai "prodotti" industriali che affollano e spesso infestano il mercato discografico.

Pare che con il recentissimo "An Ancient Muse" questa straordinaria cantante e polistrumentista canadese (suona arpa, pianoforte e tastiere di ogni tipo) abbia confermato la sua vocazione di musicista etnica in senso lato, con orizzonti assai più estesi di quelli essenzialmente celtici degli esordi. In attesa di saperne qualcosa si può comunque già cogliere l'ampiezza di questi orizzonti in "The Book Of Secrets" (1997), disco che per cura e contenuti rasenta la perfezione assoluta. Basta dare un'occhiata alla lista degli strumenti etnici impiegati, degna di un Peter Gabriel, per avere un'idea del lavoro che c'è alla base e quindi giustificare i lunghi tempi di attesa che Loreena ci impone, anche se poi nel caso specifico si trattò solo di tre anni, per di più con in mezzo un prezioso regalino natalizio come "A Winter Garden" (1995), incantevole minidisco di soli cinque brani.

Un'altra giustificazione la possiamo trovare bazzicando nel suo sito ufficiale: Loreena non è solo un'artista sensibile, ma anche una persona impegnata per quanto possibile a combattere le storture del mondo, soprattutto nel campo dei diritti umani, come attesta il suo stretto legame con Amnesty International. Nulla di strano quindi se per qualche anno può aver dato la precedenza a quest'ultima attività, per poi comunque tornare all'uso del mezzo a lei più familiare, la musica, per migliorare un mondo che non è solo ingiusto e crudele, ma anche pieno di rumori inutili e molesti, e chissà poi che le due cose non siano collegate.

Vuole la leggenda scaruffiana che "The Book Of Secrets" sia stato concepito durante un viaggio compiuto da Loreena lungo l'affascinante percorso della Transiberiana. Altre fonti danno invece a questo viaggio un valore più che altro simbolico, limitando il rapporto diretto di causa-effetto solo ad un brano (la misteriosa ballata notturna "Night Ride Across The Caucasus"). Sia come sia, come i due precedenti, anche questo libro dei segreti della rossa canadese si profila come il racconto di un viaggio, sia nello spazio (dal Caucaso alla "Serenissima", dall'Oriente visitato da Marco Polo alla Firenze dantesca) che nel tempo (recupero di sonorità antichissime, pre-bachiane, soprattutto nell'uso degli archi).

Ci introduce in questo mondo una specie di ouverture ("Prologue") di intenso lirismo, con Loreena che sfodera i suoi penetranti acuti da soprano in vocalizzi così espressivi e passionali da non richiedere il supporto delle parole. Le pulsazioni dei tamburi sono rarefatte e profonde; echi metallici di strumenti orientali rispondono con un piacevole effetto sitar. Per quanto esista uno stacco, l'entrata di "The Mummer's Dance" sembra avvenire senza soluzioni di continuità, tale è ormai il clima che si è creato. Questa "Danza dei mimi" è il classico esempio di ciò che in linguaggio classico si direbbe "Lento trascinante" e anche l'ennesima dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che la forza di un ritmo non si misura in numero di battiti al minuto. Non è facile resistere a queste congas accarezzate, a questi tamburi ovattati, al canto arabeggiante che asseconda le percussioni: personalmente io non ci riesco e prima o poi sono costretto a muovermi furtivo come le ombre della foresta notturna descritte nel testo, nonostante la mia mole renda questo "ballo dell'orso" un po' grottesco.

"Skellig" ci dona l'illuminata serietà del testamento spirituale di un saggio che sta per trapassare serenamente nell'aldilà, lasciandoci i suoi libri e la sua ricchezza interiore, maturata negli anni passati dentro una cella monacale dalle pareti di roccia. Loreena recita questa vera e propria poesia con il suo canto più ispirato; la melodia fatata e le perfette trame di chitarre ed archi fanno il resto, sciogliendo anche i cuori più refrattari. In "Marco Polo" è un folto tappeto di percussioni e di strumenti mediorentali a fare da sfondo ideale ad una celestiale cantilena arabeggiante, ancora una volta senza parole.

Le parole invece abbondano nei 10 minuti di "The Highwayman": sono quelle di una poesia di Alfred Noyes (negli altri casi i testi, come le musiche, sono della stessa McKennitt). La durata non spaventi: basta entrare con la prima strofa nel clima di questa intensa storia d'amore e di morte tra un bandito (highwayman) e la figlia di un locandiere, per rimanerne rapiti fino alla fine, che arriva in un baleno anche grazie ai colori cupi e drammatici della ballata che Loreena ha saputo cucire su queste splendide parole. "La Serenissima" è una finestra aperta sull'antichità più misteriosa, una miniatura strumentale per arpa ed archi che ci riporta in pieno '600. Per contrasto mi viene in mente l'orrendo pasticcio che porta lo stesso titolo, opera dei famigerati (per fortuna ormai scomparsi) Rondò Veneziano, un miscuglio insipido di Vivaldi rifritto in salsa di ottusi arrangiamenti disco-rock. Mamma mia che abisso tra queste due "Serenissime" !

"Night Ride Across The Caucasus" è un altro valido esempio di lento trascinante: al ritmo dolcemente implacabile delle percussioni scorrono fuggevoli le immagini di una cavalcata notturna tra colline addormentate sotto le stelle e foreste dense di ombre, e in questo silenzio risuonano echi, visioni, riflessioni, le eterne domande e risposte di chi è abituato a riflettere con sé stesso. Nel finale il disco tocca il suo apice spirituale con "Dante's Prayer", l'accorata preghiera di un Dante immaginato non ancora al di fuori della sua "selva oscura", alla ricerca di qualcosa o qualcuno che dia "ai suoi piedi d'argilla ali per volare e per toccare la faccia delle stelle". La musica è all'altezza: un inquietante coro monteverdiano avvolge all'inizio e alla fine in un tetro velo il prezioso nucleo centrale, che come un'urna contiene la preghiera vera e propria, custodita in una finissima trama di pianoforte e archi e recitata da Loreena con voce sinceramente commossa.

Altro che il benessere new age a cui a volte questa musicista viene superficialmente associata: dischi come questo regalano sensazioni profonde, che lasciano il segno.

Carico i commenti... con calma