Se avete una conoscenza musicale ridotta a zero, siete dei fanatici di Mtv, di Ligabue conoscete solo "Happy Hour" e "Le donne lo sanno", bhe, allora è il caso che allarghiate un pò di più i vostri orizzonti musicali.

Perchè è innegabile che Ligabue in questi ultimi dieci anni si sia attestato su un livello compositivo musicale standard e ripetitivo ("le sue canzoni sono tutte uguali", ripetono giustamente in molti), ma è anche vero che Ligabue non è un giovincello e il suo debutto nel 1990 fu tutto fuorchè pietoso, anzi, fu incandescente.

Scoperto da Pierangelo Bertoli (che ad un suo concerto intona persino "Sogni di rock'n roll"), ormai non più ragazzino, Ligabue incide il suo primo disco un pò con l'incoscienza del debuttante e un pò con la voglia di stupire. "Ligabue", l'album più amato dai fans storici, è un salutare scossone per la musica rock italiana del periodo: chitarre in primissimo piano, riff subito riconoscibili, testi divertenti e mai banali e un chiarissimo debito d'ossigeno con la tradizione folk-rock americana dei primi anni Ottanta (i rimandi a Springsteen sono palesemente riconoscibili).
Ma questo, circoscritto solamente a questo primo disco, non è un difetto, anzi, è un modo per avvicinare e unire, per quanto possibile, tradizione americana e storie di provincia all'italiana. Prima di perdersi in elogi a Elvis o cantare la gloria di una tale "Miss Mondo", Ligabue dimostra di essere comunque un buon autore: dalle impennate rock di "Balliamo sul mondo" alle dolcezze agrodolci di "Piccola stella senza cielo", dai racconti di provincia di "Bar Mario" alle fantasticherie sentimentali di "Marlon Brando è sempre lui".

E qualche tocco di classe non indifferente: "Radio radianti", curioso brano satirico rivolto alle radio e ai padroncini che le gestiscono, "Bambolina e barracuda", più che una canzone pare la sceneggiatura di un film firmato Quentin Tarantino (con ammiccamenti erotici niente male: "Già, perchè c'è sempre una parte da recitare, si farebbe molto prima se lei tornasse vestita soltanto del bicchiere"). Spiccano anche due belle ballate acustiche: "Non è tempo per noi", la più famosa, un'inno per tutti coloro che sono soliti viaggiare controcorrente, e "Angelo della nebbia", ottimo brano speziato da influenze da night tutto concentrato attorno al giro armonico chitarra-basso. E Pierangelo Bertoli, ancora una volta, riesce a infilarci lo zampino: la scatenata "Figlio d'un cane" è firmata a quattro mani da Ligabue e Bertoli. Non resta che ascoltare i versi e i suoni (labili) di "Freddo cane in questa palude".

Indubbiamente il disco migliore di Ligabue, e uno dei migliori usciti a inizio anni Novanta. Le sferzate rock piacquero moltissimo, e quel modo da cantare "da strada" di Ligabue ebbe un successo immediato (e un pò inaspettato), le storie di provincia, quelle che si vivono solo in determinati contesti, furono la chiave di volta di un successo tanto clamoroso quanto, sotto sotto, meritato. E non sarebbe stato un peccato se Ligabue avesse continuato su questa vincente linea d'onda: piegatosi al volere e alle logiche spietate del mercato, l'artista emiliano si dedicherà a progetti più o meno pretenziosi (talvolta persino ridicoli, vedi ad esempio "A che ora è la fine del mondo?"), con un solo lampo di creatività (comunque abbastanza contenuto), "Buon compleanno Elvis".

Peccato che questa deriva musicale stia continuando senza freni anche oggi, quel "Ligabue" faceva sperare in ben altre soluzioni artistiche. Ma è un vezzo italiano diffuso: illudere il pubblico e poi giostrarlo come un burattino. Peccato, peccato davvero.

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