Quando si parla di Lucifer's Friend viene subito in mente la copertina oscura e grottesca di quel gioiello che fu l'omonimo primo album del 1970 e che ogni vero amante dell'hard rock dei seventies (e non solo) dovrebbe possedere. Eppure il gruppo anglo-tedesco ha continuato a produrre ottimi dischi per tutti gli anni '70 e i primissimi '80. Non solo, già dal secondo disco, i nostri inizieranno un'incredibile evoluzione che li affrancherà definitivamente dal paragone coi modelli d'oltremanica e li porterà ad abbracciare sonorità prog (già in parte presenti nell'esordio), jazz-fusion, heavy metal, e persino AOR (nello splendido e magnificamente anacronistico "Sumogrip" del '94 uscito col nome di Lucifer's Friend II).

Ma facciamo qualche passo indietro fino al 1976, anno in cui uscì questo "Mind Exploding", ultimo capitolo, relativamente ai '70, con John Lawton alla voce prima che questi lasciasse "l'amico di Lucifero" (pare che in realtà il nome si riferisca ai cosiddetti fiammiferi svedesi) per unirsi per un breve periodo ai più famosi Uriah Heep.
Nell'album, ottimamente prodotto, una ritrovata grinta hard rock si sposa magnificamente con le sonorità prog e soprattutto fusion del loro recente passato, in quella che a tutti gli effetti appare come una summa delle varie fasi musicali fin qui attraversate dal gruppo.

Si inizia veloci con la dinamica "Moonshine Rider", passando per la melodica "Blind Boy" e per le reminiscenze Uriah Heep di "Broken Toys". Spettacolare la performance di un Lawton perfettamente a suo agio nel seguire le talvolta bizzarre evoluzioni armoniche laddove gli arrangiamenti si muovono in una direzione più marcatamente jazz-fusion come in "Free Hooker" o nella complessa "Fugitive" con il funambolico basso di Dieter Horns in evidenza. Sorprende anche il rock n' roll scatenato di "Natural Born Mover" aperto da un sofisticato riff del chitarrista Peter Hesslein che qui si diletta anche in un assolo di slide. Eccellente la prova del tastierista Peter Hecht e del batterista turnista Curt Cress.

Il disco si chiude con la splendida "Yesterday's Ideals", sorta di ballad epica e romantica introdotta da una voce narrante e da inquietanti suoni di batteria e pianoforte: i due strumenti si rincorrono, si cercano, surreale preludio alla canzone vera e propria. Dopo quasi quattro minuti il pezzo si "disintegra" e i musicisti trovano lo spazio per un delirio strumentale guidato da un solo di sax soprano prima del rientro in scena di John "The Voice" Lawton che nel finale ci saluta con un virtuosistico vocalizzo terminante con una inaspettata quanto rassicurante "terza piccarda" (l'uso di concludere con un accordo maggiore un brano in tonalità minore). Il classico pezzo che vale l'acquisto del disco e, azzardo io, l'apice dell'intera discografia di questo incredibile gruppo.

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