Cappuccio mon amour

Mi chiamo Giorgio e non sono del lago maggiore, abito in un casolare della campagna romana. Vi racconterò del mio amore per i gatti, di Faustina e di un cappuccino. La casa dovrebbe essere un'oasi di benessere, anche se, a volte, nei romanzi gialli può essere teatro di atroci delitti o, nelle fiabe, è spesso la casa degli orrori. Nella mia, niente di tutto questo, ci sono solo docili animali, galline, caprette, piccioni, ma sopratutto gatti. Tanti trovatelli inselvatichiti, che avrebbero fatto una brutta fine se non li avessi adottati. Adoro i miei gatti e anche le donne piccole e grasse, concedetemelo, sono le uniche gratificazioni che mi sono permesso da quando sono in pensione. Faustina corrisponde completamente ai miei requisiti di bellezza, è alta un metro e cinquanta e pesa centodue chili. Però, chissà perchè, detesta i gatti e ho sempre pensato che non me se filasse pe' niente, perdipiù ama oltremodo il cappuccino. A me il cappuccino non piace, in quanto ai gatti, lo sapete. L'ultimo che ho accolto, era in uno stato pietoso, le zecche lo stavano divorando, l'ho curato e adesso sta bene, ovviamente l'ho chiamato Zac. Dovevo capire che sentimenti provava il mio riccioluto oggetto del desiderio, e, nel caso non fossero quelli che desideravo, volevo conquistarla. Quindi, l'avevo invitata a bere un cappuccino nel mio rustico. Non badai a spese e comprai la miscela migliore, si chiamava "Aroma del mattino di suor Crocifissa". Era fatto in maniera artigianale e costava, ammazza se costava, ma erano soldi spesi bene se servivano a farle accettare il mio invito. Quel piccolo e soffice ammasso di ciccia, mi piaceva talmente tanto che le avevo detto che le noiosissime poesie che aveva scritto, erano versi bellissimi. Gliel'avevo detto mentre mi arrapavo a sbirciarle tra le coscie. Ero così perso in lei, che l'idea di baciarle i piedini con le unghie laccate, mi faceva stare bene tutto il giorno. Mi veniva bene idealizzarla e spasimare per lei, non era faticoso e durava molto a lungo. Ma, considerato tutto, non bastava, mi mancava tantissimo il BACIO. Così m'ero deciso a farle una dichiarazione. Mentre camminava nel vialetto sterrato per venirmi a trovare, la guardavo da dietro i vetri. Il suo incedere era goffo, ma per me non era un difetto, anzi, aumentava la concupiscenza che provavo per lei. Quando suonò il campanello mi prese un tuffo al cuore, Faustina era lì con tutte le rotondità al posto giusto e quel suo faccino che era da mangiare, a bocconcini. Era bellissima. La bevanda era già pronta. Si sedette sulla sedia e gliela porsi. Iniziò a mescolare il cappuccio. Avevo ingoiato almeno sette o otto tranquillanti, invece a lei bastava girare il liquido per ottenere lo stesso risultato. Le dissi: "Quanto sei bella Faustina... io ti piaccio? Almeno un po'?" Non so se fece finta di non capire, o se non sentí affatto, perché era del tutto presa dall'arnese che faceva roteare nel liquido. Mentre girava, la schiuma arrivava fino all’orlo, sollevato dall’azione dell’utensile. Il bicchiere era ordinario, il cucchiaino opaco e consumato dall’uso. Si udiva il rumore del metallo contro il vetro. Tin, tin, tin, tin. Mentre carezzavo Zac, la tirai gentilmente a me. Con lo sguardo perso nei suoi occhi, le dissi ancora che la desideravo, che mi sarebbe bastato anche un solo bacio. E il caffelatte girava e rigirava, con un gorgo nel mezzo. Un Maelstrom. "Bravo, non devo neanche assaggiarlo per sapere che è buonissimo. Capisco subito che è un connubio perfetto tra colori, sapori e aromi," disse senza considerare la mia avance. Eravamo seduti l'uno di fronte all'altro. Lei continuava a girare e rigirare, immobile e sorridente. I tranquillanti avevano abbattuto la tensione che mi aveva attanagliato, le detti uno sguardo in un modo tale che si sentì in obbligo di giustificarsi: ”Lo zucchero non si è ancora sciolto”. Per dimostrarmelo dette dei colpetti sul fondo del bicchiere. Subito riprese con rinnovata energia a mescolare metodicamente il cappuccino. Gira e rigira, senza fermarsi mai, e il rumore del cucchiaino sul bordo del vetro. Tan, tan, tan. Di seguito, di seguito, senza posa, eternamente. Gira, e gira, e gira, e rigira. Guardava me, guardava il cappuccino e sorrideva. Era dolce come quello zucchero che sembrava non volersi sciogliere mai. Appoggiai teneramente la mano sulla sua spalla e feci un'altro approccio giocherellando coi suoi riccioli. Si rigirò come una tigre. Non sorrideva più. "La vuoi smettere!? Voglio bere il cappuccino!!" urlò. Ma come si fa a dare tutta sta importanza ad un cappuccino?, pensai. "Meglio morta, che essere sfiorata da te!” aggiunse inviperita. Non avrebbe dovuto dirla quella frase. Ogni espressione, anche la più insignificante sparì dal mio volto, m'apparve per quel che era. Brutta. Un insulto verso Dio, mi sembrò addirittura di vederle uscire degli insetti dalla bocca. "Meglio morta che essere sfiorata da te," si era permessa di dire. A me. A me che sono bello, intelligente e nei cassetti ho sempre i coltelli molto affilati. Dovevo farlo quell'atto di carità. La squartai dal basso in alto, come si fa coi maiali. Le interiora si sparpagliarono per terra, senza ordine. Zac balzò sul pavimento e iniziò a rosicchiare il pancreas. Feci un fischio e gli altri venti gatti che avevo adottato, arrivarono uno dopo l'altro. Per chi non lo sapesse i gatti adorano le frattaglie. In un paio d'ore del florido corpo, rimasero solo le ossa. Avevo assassinato il mio amore! Però l'idea di passare il resto dei miei giorni in galera, era più angosciante della colpa che provavo per il crimine commesso. Così raccolsi le povere resta di Faustina in tre o quattro sacchetti della spazzatura. Non era un gran fardello perché era tutta ciccia e lo scheletro pesava poco. Camminando per Viale Manzoni, buttai i sacchetti nell'indifferenziata. Tornai il giorno dopo e controllai i cassonetti. Erano vuoti. (vuoti a Roma!! Credo di poter dire che quel giorno, Dio era ben disposto al miracolo) Ripensai a Faustina e mi resi conto che non sentivo poi tutta sta sofferenza. Quasi cento chili erano nella pancia di una ventina di gatti, ed ero più contento per loro che dispiaciuto per la brutta fine del mio ex amore. In fin dei conti cos'è l'amore? Una dedizione appassionata fra due persone, volta ad assicurare la reciproca felicità? No. È più semplicemente una forma di egoismo, temperato, regolato in modo da permetterci di vivere in armonia con la persona amata. Con Faustina non poteva esserci armonia, per lei, il cappuccino era più importante di ogni altra cosa, anche dei nobilissimi sentimenti che avevo nutrito per lei. Prima di squartarla.


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