Faustina, il cappuccino e l'amore mancato...

Mi chiamo Giorgio e non sono del lago maggiore, oltre ai gatti, mi piacciono le donne piccole e grasse. Se qualcuno pensa che sono matto, sbaglia, è una cosa normalissima. Faustina corrisponde completamente ai miei requisiti di bellezza, è alta un metro e cinquanta e pesa centodue chili. Però non le piaccio e detesta i gatti, perdipiú, ama oltremodo il cappuccino. A me piace il succo di ananas e adoro i gatti. Ne ho adottati almeno una ventina nel corso degli anni, l'ultimo che ho accolto era in uno stato pietoso perché era divorato dalle zecche. L'ho curato e adesso sta bene, ovviamente l'ho chiamato Zac. Per conquistare Faustina, avevo comprato la miscela migliore per fare il cappuccino, si chiamava "Aroma del mattino di suor Crocifissa". Era fatto in maniera artigianale e costava, ammazza se costava, ma il prezzo non aveva nessuna importanza, se serviva per farla venire a casa mia. Quel piccolo e soffice ammasso di ciccia, mi piaceva talmente tanto che le avevo detto che le cazzate di poesie che aveva scritto, erano versi bellissimi. Gliel'avevo detto mentre mi arrapavo a sbirciarle tra le coscie. Ero così perso in lei, che l'idea di baciarle i piedini con le unghie laccate, mi faceva stare bene tutto il giorno. Mi veniva bene idealizzarla e spasimare per lei, non era faticoso e durava molto a lungo. Ma, considerato tutto, non bastava, mi mancava tantissimo il BACIO. Così mi ero deciso a farle una dichiarazione. Fino ad allora non avevo mai avuto il coraggio, sono timido. Quando suonò il campanello mi prese un tuffo al cuore, Faustina era lì con tutte le rotondità al posto giusto e un faccino che era da mangiare a bocconcini, lentamente. Era bellissima. La bevanda era già pronta, si sedette sulla sedia e gliela porsi. Iniziò a mescolare il cappuccio. Credo che la rilassasse girare e rigirare il liquido col cucchiaino. Avevo ingoiato almeno sette o otto tranquillanti. Le dissi: Ti piaccio Faustina? Non so se fece finta di non capire, o se non sentí affatto, perché era del tutto presa dall'arnese che faceva roteare nel liquido. Mentre girava, la schiuma arrivava fino all’orlo, sollevato dall’azione dell’utensile. Il bicchiere era ordinario, il cucchiaino opaco e consumato dall’uso. Si udiva il rumore del metallo contro il vetro. Tin, tin, tin, tin. Mentre carezzavo Zac, la tirai un po' a me. Con lo sguardo perso nei suoi occhi, le dissi ancora che la desideravo, che mi sarebbe bastato anche un solo bacio. E il caffelatte girava e rigirava, con un gorgo nel mezzo. Un Maelstrom. "Bravo, non devo neanche assaggiarlo per sapere che è buonissimo. Capisco subito che è un connubio perfetto tra colori, sapori e aromi, è questa polvere che fa la magia," disse. Eravamo seduti l'uno di fronte all'altro. Lei continuava a girare e rigirare, immobile e sorridente. I tranquillanti avevano abbattuto la tensione e l'ansia che sentivo in me; le detti uno sguardo in un modo tale che si sentì in obbligo di giustificarsi: ”Lo zucchero non si è ancora sciolto”. Per dimostrarmelo dette dei colpetti sul fondo del bicchiere. Subito riprese con rinnovata energia a mescolare metodicamente il cappuccino. Gira e rigira, senza fermarsi mai, e il rumore del cucchiaino sul bordo del vetro. Tan, tan, tan. Di seguito, di seguito, senza posa, eternamente. Gira, e gira, e gira, e rigira. Guardava me, guardava il cappuccino e sorrideva. Era dolce come quello zucchero che sembrava non volersi sciogliere. Appoggiai teneramente la mano sulla sua spalla e feci un'altro approccio giocherellando coi suoi riccioli. Si rigirò come una tigre. Non sorrideva più. "La vuoi smettere!? Voglio bere il cappuccino!! Meglio morta, che essere sfiorata da te”, strillò. Non avrebbe dovuto dirla quella frase. D'un tratto m'apparve per quel che era. Brutta. Un insulto verso Dio, mi parve addirittura di vederle uscire degli insetti dalla bocca. "Meglio morta che essere sfiorata da te," si era permessa di dire. Dovevo farlo quell'atto di carità. La squartai dal basso in alto, come si fa coi maiali. Non si può dare tutta sta importanza ad un cappuccino. Le interiora si sparsero per terra, senza ordine. Zac balzo sul pavimento e iniziò a rosicchiare il fegato. Feci un fischio e gli altri venti gatti che avevo adottato, arrivarono uno dopo l'altro. Per chi non lo sapesse i gatti adorano le frattaglie. In un paio d'ore del florido corpo, rimasero solo le ossa. Avevo assassinato il mio amore! Ma l'idea di passare il resto dei miei giorni in galera, era più angosciante della colpa che provavo per il crimine commesso. Così raccolsi le povere resta di Faustina in tre o quattro sacchetti della spazzatura. Non erano molto pesi perché era tutta ciccia e lo scheletro pesava poco. Camminando per via Manzoni, buttai i sacchetti nell'indifferenziata. Tornai il giorno dopo e controllai i cassonetti. Erano vuoti. Ripensai a Faustina e mi resi conto che non sentivo poi tutta sta sofferenza. Quasi cento chili erano nella pancia di una ventina di gatti, ed ero più contento per loro che dispiaciuto per la brutta fine del mio ex amore. In fin dei conti cos'è l'amore? Una dedizione appassionata fra due persone, volta ad assicurare la reciproca felicità? No. È più semplicemente una forma di egoismo, temperato, regolato in modo da permetterci di vivere in armonia con la persona amata. Con Faustina non poteva esserci armonia, per lei, il cappuccino era più importante di ogni altra cosa, anche dei nobilissimi sentimenti che avevo nutrito per lei. Prima di squartarla.


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