'90's never ends.

Questo è stato il motto dei Manic street preachers (o per gli amici, Manics) per costruire questa piacevole sorpresa del 2007. O almeno, per me è stata un gran sorpresa, dopo la delusione che ebbi nell'ascoltare quel "Lifeblood" (2004), eccessivamente danzereccio e pop per il vocione di Bradfield e per le mie povere orecchie.

Però, cari lettori, parliamoci chiaro, non sono mai stato un fan dei Manics, certo sono un loro amico (da come li chiamo l'avrete capito sicuramente!). Ho adorato "Everything Must Go"(1996), sono stato interessato dal bellissimo "The Holy Bible" (1994) ed anche i precedenti album come "Gold Against The Soul" (1993) e "Generation Terrorists" (1992) mi hanno preso anche se non eccessivamente. Insomma credo che questi gallesi siano "roba buona" ma non credo siano stati in grado di scrivere dei capolavori musicali assoluti. Lo stesso penso di questo magnifico "Send Away The Tigers"  la sorpresa del 2007, che a mio modo di vedere si colloca benissimo fra l'immenso "Everything must go" e lo straordinariamente graffiante "The Holy Bible".
Poche volte si assiste a cambiamenti radicali di band che infestano le proprie sonorità : arricchendole, cambiandole, sporcandole, impreziosendole. Ma qui i Manics cancellano "Lifeblood" e "Know your Enemy" dalla loro discografia e si divertono a riscoprire ciò che avevano fatto prima.

James Dean Bradfield & Co. in questo "Send Away The Tigers" inseriscono elementi che ricordano i tempi del "vuoto di andare in moto" o della "sacra bibbia" che tanto li hanno resi celebri ("Imperial Bodybags" e il singoletto "Underdogs") oppure riprendono le sonorità Brit-Rock/Pop del doposcomparsa del povero-mai ritrovato Richey James ("Indian Summer" e "Autumnsong", che con "Winterlovers" fanno la trilogia delle stagioni, ironici i manics, battutaccia la mia, lo ammetto). (Ri)Pescare con un amo ben appuntito un pò quel glam che fu dei Queen più di due decenni fà ("Send Away the tigers").
Un album che da molta energia e che non disdegna però passi falsi ("Winterlovers"). C'è anche un duetto con Nina dei Cardigans . Dove anche Nicky Wire prova a fare I coretti ma con scarsi risultati, anzi dirò di più, risultando un pò fuori luogo data la voce potente del bravo Bradfield e la cristallina prova vocale della Cardigan(s). Nonostante ciò "Your love is not enough" risulta una grande canzone pop che ricorda un pò l'atmosfera di "This is my truth, Tell me yours" (1998) con quella musica in bilico fra la ruvidezza rock e la dolcezza pop al miele.

In alcune canzoni risulta invidiabile l'arrangiamento d'archi, quasi all'altezza dei migliori Oasis che, ditegli ciò che volete, ma indovinavano di brutto le melodie per fiati e violini.

Insomma siamo davanti ad un bell'album che mette energia e nonostante sia molto orecchiabile non vedremo mai i Gallesi buttare il loro talento in mano alla commercialità, come molte ottime band hanno - ultimamente - fatto ("Coldplay" e "Muse" su tutti) anche perchè forse Bradfield è palesemente brutto (atipico per una rockstar no?), ma chi sono io per giudicare ? E poi ha una fottuta gran voce (che spesso ce la faccio a canticchiare le canzoncine dei Manics).

La chicca finale - di cui voglio subito informarvi - è che dopo la traccia finale, c'è la oramai consueta ghost track. Oramai nel mondo indie-rock se non fai almeno una ghost track per album e fai un album che è più di 40 minuti sei considerato l'ultimo dei deficienti. Trattasi, comunque, della cover di "Working Class Hero" del defunto Lennon, che a me non è mai piaciuto a dirla tutta, la canzone non l'avevo mai sentita nominare nè ascoltata, ma oh! sarà brutta forse quella di Lennon ma, come la suonano i Manics a me piace!

Detto questo mi congedo ed esprimo il mio preciso voto di questo album (le 4 stelline sono puramente indicative): 7.1

Buon Ascolto e grazie per aver letto fin quì. Alla prossima.

 

 

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