Che Marilyn Manson sia un termine analogo alla stupidità medianica lo sappiamo tutti.Un finto demone metallaro che si diverte a fare il Satanasso e che per molti anni ha influenzato negativamente la società giovanile, soprattutto quella americana.

In questo caso però casca a pennello l’aforisma “non tutti i mali vengono per nuocere”. Dico questo perché se andiamo oltre l’empietà raffigurativa che cerca d’impersonare, troviamo un MM che musicalmente apre nuove prospettive. Questo discorso però è possibile farlo esclusivamente quando si parla dei primi lavori. Sicuramente l’ultimo album non è altro che una trovata commerciale mal riuscita che ha avuto l’onore di allontanare anche i fans più accaniti.

“Antichrist Superstar” è uno di quei lavori che possono essere considerati “buoni”, insieme al debut album “Portrait Of An American Family” e forse anche ad Holy Wood, disco che per stessa ammissione del Reverendo ha chiuso il cerchio della sua evoluzione musicale.

Nati grazie a Trent Reznor dei Nine Inch Nails, scelgono il loro nome in omaggio alla più amata star di Hollywood ed al più grande serial killer d’America. Il disco viene pubblicato nel 1996, vende un milione e 400 mila copie ed è acclamato dai critici, perché quelli erano gli anni che MM era cool, quando incominciava a strappare bibbie, a professare l’autolesionismo, a dire di essere l’Anticristo. Erano i tempi dove “We hate love, we love hate” diventava sempre più il motto di adolescenti intenti a fare della violenza, tanto professata dal nostro cattivane, il tormento della loro psiche.

Ma “AntiChrist superstar” non è un importante disco per Manson solo per queste retrospettive. Il fatto è che musicalmente il risultato ottenuto è discretamente interessante. L’album fonde diversi stili ad un glamour decadente. Il suo glam-rock-metal è cosparso di tessiture e campionamenti elettronici. L’ugola urlante di Brian Warner (il suo vero nome) si appropria bene delle atmosfere viscerali del disco. Il suono rievoca il primo disco: connaturato e abrasivo. Le partiture strumentali si spingono su ambientazioni sadiche e perverse. Anche perché in quel periodo il look del gruppo si rifaceva allo stile nazista, con il famoso “schok” come simbolo della band.

Il disco va tendenzialmente a incrociare diverse strade musicali che vanno da un genere più heavy (the Beautiful People), al grottesco (Tourniquet) e ai famosi inni di violenza (Irresponsible Hate Anthem), passando da aspetti epilettici e beceri (1996 e Little Horn), finendo con aspetti del Decadentismo e della melodia più horror-malinconica (Minute of deacy).

Con questo lavoro probabilmente i Marilyn Manson abbandonano il fantasma Nine Inch Nails, lasciando intravedere l’evoluzione musicale e ideologica che in futuro decreterà la fine di questo personaggio, sorto come specchio dei mali della società americana e del mondo intero.

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