In questo Primo Maggio di quarantena recuperiamo uno di quei classici film considerati "maledetti", prima ancora di entrare prepotentemente nell'immaginario collettivo del cinema italiano e non solo: "Cani Arrabbiati", meglio noto come "Semaforo Rosso" dalle tramissioni televisive, è il ventunesimo lungometraggio ufficiale di quello che è, a mio avviso, il regista più scandalosamente sottovalutato di sempre in italia: Mario Bava. Per sottovalutato io intendo in Italia, poiché in altri paesi in Europa, soprattutto Francia, è considerato un vero artigiano, specialmente nel campo della direzione di fotografia. Un film che, pur risalendo al 1974, ha dovuto aspettare ben ventun'anni per uscire, grazie all'attrice Lea Krueger (Dio la benedica) che si è interessata a distribuirlo in copia fisica.

Roma, anni Settanta: quattro banditi fanno una rapina, uno di questi viene ucciso, i restanti tre prendono in ostaggio una donna e un uomo in auto, chiamato Riccardo, con un bambino malato che sta portando in ospedale. Il genio della trama è tutta qui in fin dei conti: un road movie come struttura narrativa, in cui i caratteri e le sfaccettature dei personaggi verranno catapultati fuori poco a poco attraverso le situazioni che il film incontrerà sulla sua strada, con improvvisi scatti di violenza inaspettati, un paio di scene davvero memorabili fino ad uno dei migliori finali della storia del Cinema.

Il film è quasi interamente ambientato in una macchina; questa macchina diventa una macro dimensione in cui si muoveranno i nostri personaggi. Mario Bava allunga i tempi, stordisce i due ostaggi uomo e donna per mezzo del linguaggio violento e comportamento malsano dei tre criminali, tutti con dei nomi fittizzi: da una parte 32, interpretato da George Eastman (attore feticcio di un altro grande come Joe D'Amato), il più grosso del gruppo nonché con la fissa per la fregna, per riassumerlo in poche parole; dall'altra parte Bisturi, interpretato da un Don Backy antologico, un personaggio freddo, schizzato, bipolare ma con un background massiccio. Entrambi sono capitanati dal capo del gruppo Dottore, interpretato da Maurice Poli (fortunatamente ancora vivo), volutamente mantenuto mono espressivo per via della sua posizione, sebbene tra i tre sia il più ragionevole. I due ostaggi invece sono Maria, interpretata dalla sopra citata Lea Krueger, che pur avendo pochi dialoghi riesce a comunicare con lo sguardo il suo disagio continuo, e un bravissimo Riccardo Cucciolla nel ruolo di Riccardo, inizialmente ruolo affidato all'attore Al Lettieri, licenziato in tronco per essersi fatto trovare ubriaco il primo giorno di riprese. Ironicamente forse è andata meglio così.

L'atmosfera che si respira nel film non è solo marcia, ma riesce a far immergere lo spettatore in un clima torrido e soffocante, partendo semplicemente dai dettagli dei vestiti inzuppati dei nostri personaggi, alle fronti grondanti di sudore. Ma oltre alla caratterizzazione dei personaggi il punto forte del film è proprio la messa in scena della regia: Bava dimostra di essere un mostro senza tempo, accompagnato dal figlio Lamberto come aiuto regista. Assurdo come pur essendo del 1974, seppur girato con un budget che non è manco la metà di "La Vita è Bella", riesca a stravolvere le regole del poliziesco all'italiana, mantenendo una qualità e una resistenza fuori dal tempo, e quanto abbia influenzato non poco lo stile pulp e d'azione nel Cinema di Serie A internazionale, così come face "Reazione A Catena" per quanto riguarda lo slasher. L'ironia interna nei dialoghi dei personaggi con i loro nomi fittizzi, nonché struttura della sceneggiatura stessa, saranno fonte di studio per Quentin Tarantino, e in particolare per il suo "Reservoir Dogs" (con il termine "cane" all'interno non a caso), con i suoi colpi di scena mozzafiato e sequenze di violenza girate con una maestria impeccabile, in particolare l'omicidio nei primi minuti al parcheggio del supermercato. La sequenza della rapina iniziale invece pare un incrocio tra la grandiosa messa in scena di Walter Hill, i tempi d'azione di Michael Mann e la "tamarraggine" della Bigelow, in particolare nel futuro cult "Point Break". Le musiche di Stelvio Cipriani aiutano ad aumentare la tensione delle sequenze, soprattutto in quelle dove la suspence schizza alle stelle (e non sono poche). I personaggi nel loro cinismo rimangono coerenti dall'inizio alla fine, quell'auto diventa la tela di un ragno in cui le prede stesse si troveranno metaforicamente e paradossalmente sulla stessa barca, pur essendo vittime e carnefici delle loro stesse azioni senza nemmeno esserne consapevoli, così come lo spettatore stesso nel sentirsi complice. Nessun moralismo, nessun dialogo buttato a caso o momenti sottotono della regia, è tutto tremendamente perfetto.

"Cani Arrabbiati" è quindi un capolavoro assoluto della storia del cinema: crudele, scorretto, controverso, bizzarro, che ha anticipato gli stereotipi dei personaggi che si scambiano battute su personaggi dello spettacolo (Greta Garbo), doppi sensi a sfondo sessuale, e momenti in cui l'imprevidibilità delle situazioni diventano il vero fulcro della pellicola. Bava dimostra ancora una volta di essere il più grande terrorista del genere in Italia, seguito da Castellari e Fulci, e visto che il DVD fortunatamente è ancora disponibile su Internet consiglio assolutamente l'acquisto se siete appassionati del genere, soprattutto per scoprire una perla lucente che merita di essere riscoperta, così come la maggior parte dei film del maestro.

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