Sono passati due anni e mezzo dall’ultima apparizione dei Tremonti nel Belpaese. Allora Il tour invernale diventò un tour estivo e le date furono tutte rischedulate, a causa degli strascichi del Covid, mantenendo però invariata la location: un bollente Alcatraz di Milano.
Il 27 gennaio 2025, a due settimane dalla pubblicazione del nuovo attesissimo lavoro “The End Will Show Us How”, Mark Tremonti e compagni tornano a Milano, presso i Magazzini Generali, a titolo di unica data italiana dell'omonimo tour europeo.
La serata si apre con i Florence Black, giovane band gallese venuta alla luce poco più di tre anni fa. Il trio, che propone un alternative rock che riporta ai primi anni Duemila, ha eseguito brani provenienti dai due album pubblicati, “Weight Of The World” e “Bed Of Nails”.
Mentre sotto le spillatrici i bicchieri si riempiono e davanti al palco si svuotano rapidamente, gli orologi ci dicono che si sono fatte le nove. Sul palco un uomo corpulento sta finendo di assicurarsi che tutto sia a posto. Si allontana rapidamente e il locale piomba nel buio. Abbiamo capito cosa sta per accadere e ci facciamo sentire. La grande immagine che sovrasta il palco, quell’Angelo della morte che anima la copertina della nuova fatica della band, è pervasa da un intenso fascio di luce viola. Le urla superano la soglia consentita e i nostri entrano alla spicciolata: prima Mark Tremonti, dietro di lui Eric Friedman e la sua chitarra, Tanner Keegan e il suo basso e Ryan Bennett, che, bacchette roteanti alla mano, si accomoda dietro la batteria.
Parte il riff acustico di “All The Wicked Things”, closing song del nuovo album. Si inizia saggiamente dalla fine, dato che la spiegazione arriva proprio da lì (“The End Will Show Us How). La voce di Tremonti ci emoziona, ci culla prima dell’esplosione di energia che ci traghetterà per l’intera serata.
È un viaggio frenetico attraverso l’intera discografia della band, che dopo poco più di dodici anni può vantare ben sei pubblicazioni. La macchina del tempo ci porta indietro di due lustri con “Cauterize”, tratta dal secondo omonimo album. Si inizia a fare subito i duri, infiammando i Magazzini. Poi un ulteriore “step back” fino agli esordi, con “You Waste Your Time”, da “All I Was” del 2012.
Dato che si parla di origini, durante un interludio Mark si dice orgoglioso del suo cognome italiano, portato con fierezza anche grazie al nostro affetto.
L’introduzione di “The Things I’ve Seen” ha accontentato chi si aspettava un imminente assolo (non sarà l’unico della serata). “Siamo tutti figli della stessa Madre Terra, senza differenze di religione o razza”. Con questa citazione Tremonti introduce l’emozionale “The Mother, The Earth and I”, seguita dal midtempo di “Just Toot Much”. Tra tanti headbangers si annida qualche pogatore, che si palesa spinto dall’insistente doppio pedale di “Throw Them to the Lions”, neanche avessero davvero liberato qualche leone dalle gabbie.
La scaletta sapiente, dopo tanta energia, porta un po’ di cuore e ci fa emozionare con “Another Heart” e “It’s Not Over”. Ci godiamo la qualità delle corde vocali del frontman, che in occasioni come queste si palesa in tutta la sua potenza.
Un sorso d’acqua, poi un nuovo cambio di chitarra e qualche sorriso. Tremonti ci ha in pugno.Siamo tutti in balìa della sua capacità di emozionarci e scuoterci con una semplicità di esecuzione che a tratti non sembra umana. Passiamo dagli umani ai primati con “Flying Monkeys”, che non rientra nell’elenco dei pezzi memorabili ma eseguito dal vivo riesce a farmi cambiare idea, grazie anche a “So You’re Afraid”, che viene immediatamente dopo.
Gli smartphones sono molto pochi e non impallano la vista, davvero cosa buona e giusta. Se ne vedono molti quando Tremonti ci chiede di sollevarli come fossero accendini, prima che parta “Dust”. Si vedono anche un paio di fiamme vive, evocando i tempi andati e probabilmente attirando l’attenzione dei sensori antincendio. Tutto incredibilmente bello.
“Catching Fire” ci dice di soffiare sugli accendini e spegnere le torce ma senza spegnere l’entusiasmo, incendiato da “My Last Mistake”, che è tutt'altro che un errore...
La bella e melodica “Marching in Time”, tratta dall’omonimo quinto album, ci viene venduta come ultima traccia della serata. Dopo i finti saluti, qualcuno imprudentemente si allontana, tra i sorrisi ironici dei più navigati, che sanno che si tratta di una bufala. Penso tra me e me che siamo al cospetto dello stesso pubblico frettoloso che abbandona la sala sui titoli di coda dei film Marvel, perdendosi succosi dettagli che anticiperanno i futuri lungometraggi. Per fortuna dei frettolosi e non solo, i nostri tornano presto sui loro passi, regalandoci altre tre canzoni, eseguite con la freschezza delle nove di sera: “The End Will Show Us How”, la devastante “A Dying Machine” e ultima ma non ultima “Wish You Well”.
Mark ci promette che tornerà presto e mentre si accendono le luci, picchia il pugno sul petto all’altezza del cuore, lanciando qualche plettro con la mano libera. Ryan Bennett fa lo stesso con le bacchette e tutti insieme immortaliamo il delirio di gradimento in un selfie di massa. Ci allontaniamo sulle note di “My Way". La canticchiamo proprio tutti, attenti a non sovrastare la voce originale. Non quella di Frank Sinatra, bensì quella di Mark Tremonti. Perché lui non ci fa mancare proprio niente. Neanche a fine serata. Neanche quando non si tratta più di hard rock ma di vestire i panni del crooner.
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