Lungo. Molto. Troppo.

Pieno di riferimenti alla gangstory degli anni '50 – '80 del Novecento e alla politica nordamericana, il film resta ostico per chi, italiano, vi si approccia come me credendo di vedere un romanzo di genere. Primo tentativo andato male, dopo mezzora di visione, spengo amareggiato e sconvolto dalla sensazione di vedere due dei tre più grandi attori hollywoodiani contemporanei arrancare in imbarazzanti performance da vecchie star tanto irriducibili quanto patetiche.

Ci riprovo due giorni dopo, armato di buona volontà perchè “Scorsese è Scorsese”. Bene, me lo vedo tutto (in due sere) e nonostante scollamenti nella storia e costanti inserimenti di personaggi nuovi tali da perdere temporaneamente il filo, apprezzo l'opera. Un film però che a volte dà la sensazione del già visto, per comportamenti e morti ammazzati.

Ma è un film o un documentario? Una via di mezzo, probabilmente, basata su una biografia, per alcuni non veritiera al cento per cento, di un tizio che da camionista diventa un pezzo grosso del sindacato più potente statunitense dell'epoca, percorrendo la sua strada tra comportamenti da Yesman e omicidi su commissione (parecchi).

Il tentativo di Scorsese è quello di ricostruire la Storia tra mafia, presidenti americani, fatti di caratura nazionale e internazionale e non sta a me dire se ha centrato l'obiettivo.

Io so di aver visto tre attori che mi hanno suscitato emozioni solo al vederli recitare ed in questo film, al di là della differenza di successo e di carriere, metto sullo stesso piano Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci. E dirò che quest'ultimo è quello che mi è piaciuto di più a livello di interpretazione sicuramente aiutato, nella versione italiana, da un doppiatore con un timbro che calza a pennello, sia all'attore che al personaggio che rappresenta.

Poi la scenografia (quelle automobili che fanno impazzire), la colonna sonora tipica di Martin con brani cantati più o meno noti ma tutti americanissimi, i dialoghi. Da chi avrà imparato Tarantino?

La tecnica del ringiovanimento? Possiamo stupirci, irritarci, rabbrividire: io penso che sia l'ennesima novità rispetto a quando si facevano i film con i modellini di plastica delle astronavi o con una strada ripresa in uno schermo dietro ad una auto ferma con gli attori a bordo. Può non piacere, ma tant'è e nessuno fermerà la tecnologia. La novità piace o indigna sul momento, poi si acquisisce e diventa standard.

Cosa importa ad un italiano e cosa gli resta degli Sheeran, Hoffa, Bufalino e i vari noti o sconosciuti gangster che hanno girato loro intorno, se non la consapevolezza di un mondo marcio e brutale di quei tempi? [attenzione, ndr: il mondo di oggi è ancora marcio e brutale ma con altre modalità].

Storie americane, ed agli americani la sentenza se il racconto sia verosimile e se Scorsese abbia azzeccato o meno certe versioni di quello che è successo in realtà. Questo non mi influenza.

Questo film va preso così, come un concentrato di 30 – 40 anni che mal si sintetizza in 209 minuti, e che 209 minuti sono tanti, troppi, per tenere alto interesse e concentrazione.

Sì, penso che l'unico vero difetto sia proprio questo: il frutto dell'ambizione di Scorsese di spiegare troppo, il voler fare l'ultima opera epica e, come successo anche ad altri Grandi, voler fare l'ultimo passo troppo lungo rispetto alla gamba, vedendosi collassare quello che con più umiltà poteva diventare veramente il canto del cigno.

Solo il rispetto per questo Grande Regista mi fa consigliare agli appassionati cinefili di vederlo, comunque di vederlo.

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