The Wolf of Wall Street è un mix tra "Quei bravi ragazzi" e "Casinò", ambientato nel mondo della finanza anziché in quello mafioso.

I punti in comune con i due capolavori degli anni '90 sono parecchi: DiCaprio, come Ray Liotta, sogna una vita che non gli appartiene e cercherà di realizzarsi a tutti i costi, fino alla distruzione della propria morale. Se in "Casinò" la trappola del denaro era legata al gioco d'azzardo e alla malavita, qui è legata alla borsa, alle speculazioni e ai raggiri. Non ci sono più le pistole e le minacce della mafia, ma i telefoni e le promesse di ricchezza dei broker.

Un mondo patinato, distorto, dove droga e sesso a pagamento sono vizi irrinunciabili, dove l'etica e l'amicizia non esistono.

Squali, più che lupi.

Tutto è descritto in modo esagerato, iperbolico, i personaggi di quest'opera sembrano usciti da un  fumetto estremo, potrebbero tranquillamente appartenere all'immaginario di Tarantino, tant'è che molti dialoghi non stonerebbero se fossero pronunciati da un Mr. Pink o un Mr. White (Le iene). Il rischio di scadere nel demenziale, in alcune scene, è dietro l'angolo, ma la caduta di stile è salvata dalla maestria del regista e dalla credibilità degli attori (DiCaprio risulta "sul pezzo" anche quando fa l'idiota).

Un film dal linguaggio eccessivo, volgare, dalle scene forti ed esplicite, in cui il buon DiCaprio svolge un lavoro incredibile, interpretando un personaggio ricco di sfumature, odioso quanto adorabile, pallone gonfiato quanto eccellente e credibile nelle sue mansioni.

L'anima principale della pellicola è quella di una black comedy tremendamente sopra le righe, ma efficace e divertente fino alle lacrime. In questo senso, vanno citati almeno 3 dialoghi: quello in cui Jonah Hill parla della propria moglie/cugina, l'esilarante siparietto di Matthew McConaughey e la riunione in ufficio in cui si discute dei nani.

Scorsese si sbizzarrisce e gioca, utilizzando artifici narrativi di ogni genere, rivelandosi un regista lucidissimo ed un comunicatore devastante. E' incredibile pensare che alla regia ci sia un ultra settantenne, davvero. Il film sembra girato da un giovane cineasta, voglioso di stupire e divertirsi, ed è forse questo il problema dell'opera. Scorsese va troppo per le lunghe, dopo una prima parte esplosiva, esagerando coi tempi in alcuni dialoghi (la lite nel parcheggio e il dialogo con gli sbirri sullo yacht) e ripetendo situazioni già esplorate. Se il film fosse durato una ventina di minuti in meno, staremmo parlando di un capolavoro.

Oltre al superbo DiCaprio, va menzionata la prova comica di Jonah Hill, a tratti davvero esilarante; Scorsese gli ha affibbiato il ruolo che negli anni ‘90 sarebbe spettato a Joe Pesci. Assolutamente divina (e anche brava!) la 23enne australiana Margot Robbie, pura delizia per gli occhi.

L'unica cosa che davvero mi ha deluso è la colonna sonora, poco ispirata e qualche volta non proprio legata alle immagini (il pezzo dei Foo Fighters in quella scena è inutile, Gloria di Tozzi quasi imbarazzante).

Insomma, un film fracassone, che tratta la solita storia di ascesa al potere e, conseguente, autodistruzione, che pecca di verbosità in alcuni punti, ma in grado di intrattenere, far sbellicare dalle risate e graffiare come poche commedie.

Se "Hugo Cabret" era una dichiarazione d'amore per il cinema, questa è una dichiarazione d'amore che Scorsese fa al proprio mestiere.

Onore a te, Martin... e alla tua voglia di raccontare storie con una passione fuori dal comune. 

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