Un capolavoro sull’autodistruttività umana.

Quando lo vidi per la prima volta, mi venne subito in mente Maradona. Jake La Motta e Diego Maradona sono due facce della stessa medaglia: due uomini che potevano fare della loro vita un trionfo, e che invece fecero di tutto per distruggere le loro amicizie, le loro carriere, e le loro famiglie.

Certamente meno “estremo” di “Taxi Driver”, e forse per questo meno affascinante agli occhi di molti, ma non meno profondo; anzi, forse più importante, perché ci riguarda più da vicino.

Se è vero, infatti, che c’è un Travis in ognuno di noi (come Scorsese lascia intendere in “Taxi Driver”), è anche vero che coloro che tirano fuori questa parte malata da se stessi sono molto pochi – fortunatamente.

Invece, chi di noi non ha mai compiuto un qualche atto autodistruttivo in vita sua, ferendo un amico o un fratello con una parola di troppo che “sapeva di non dover dire” etc. etc. etc. L’autodistruttività ci accompagna tutti – che lo ammettiamo o no.

Ovviamente in La Motta questa autodistruttività era patologica, e ha la sua più peggiore rappresentazione nel momento in cui si fa stupidamente massacrare Sugar Ray Robinson. In quella scena non c’è solo un uomo follemente insicuro che vuole mostrare agli altri di essere più forte di quel che è in realtà, ma c’è l’inconscio desiderio di autopunirsi, magari usando qualcun altro per realizzare lo scopo. Una scena da annali del cinema psicologico.

Ma la follia di La Motta non si ferma qui. Jake è anche un paranoico. La scena che amo di più è quella della televisione guasta. Il pugile, un mese dopo, deve difendere il titolo, e invece di essere in palestra ad allenarsi è lì a “mangiare come un maiale” (segno questo che, nei fatti, voleva perdere il titolo, anche se a parole non lo avrebbe mai ammesso). La moglie bacia il fratello, e lì comincia, con Joe Pesci, uno dei più bei “uno contro uno” che abbia mai visto in un film. La sua paranoia è quasi ragionata, pacata, ma davvero senza speranza. A causa della paranoia, e della lingua lunga, riuscirà a perdere anche l’amore di un fratello che letteralmente lo adorava.

Qualche scena dopo, nel bagno, quando Jake rompe la porta, la moglie rivela cosa fomenta la sua autodistruttività e paranoia: “Sei egoista e cattivo”.

Straordinario Robert De Niro - davvero fantastico nelle scene in cui sta qualche secondo in silenzio abbandonandosi alle sue fantasie paranoiche, prima di cominciare con le sue domande razionalmente assurde.

Ancora oggi sento dire che De Niro, in questo film, è eccezionale, soprattutto per l’aumento di peso, e per il suo (effettivamente ottimo) modo di boxare.

Ma De Niro, qui, è ancora di più che un boxer e un attore. Dopo aver comprato i diritti del libro, scrisse la sceneggiatura con Scorsese. Si dice che il suo contributo fu superiore a quello di Martin. Dunque, Bob merita una celebrazione anche come sceneggiatore.

Bravissimo Joe Pesci, un fratello che tutti desidererebbero avere. Difficile credere che sia lo stesso che ha recitato le parti dello psicopatico criminale in “Godfellas” e “Casinò”. Magnifico il doppiaggio di Tiberio Timperi - che l’anno dopo doppierà Pelé in “Fuga per la vittoria”, e che purtroppo non doppierà più il nostro simpatico gigione, che invece in questo film è di una sobrietà incantevole.

Ma “Toro Scatenato” è qualcosa di più di un film. Dopo il fallimento di “New York, New York”, Scorsese era precipitato nella tossicodipendenza. De Niro usò questa sceneggiatura per dargli qualcosa da fare, e come il regista disse: “fare questo film mi salvò la vita”. Un motivo in più per amarlo.

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