Lungo i bordi dell'anima si ferma questo disco. Non arriva direttamente, non vizia le orecchie con melodie mielose e diabetiche, non si dà a tutti come una puttana di quart'ordine, ma si prende il SUO tempo per entrare nel NOSTRO tempo, nella nostra testa, nella nostra memoria; prende il suo tempo per depositarsi, per farsi interpretare, apprezzare.

Un pomeriggio di novembre di qualche anno fa, forse uno, magari già due.. Pioggia, fuori a intristire la strada. Un disco masterizzato, di quelli che consideri sempre di meno, quelli ai quali, alla fine, ti affezioni di più. Un nome scritto in pennarello rosso, in stampatello: MASSIMO VOLUME - Lungo i bordi.

"Tutto qui..."

La mia solita diffidenza. La mia solita superficialità.

Play.

 

Quel giorno, invece, la pioggia trovò in quel disco il suo corrispettivo, la sua perfetta traduzione. "Il Primo Dio": un pezzo che odora di pioggia, da ascoltare con la pioggia, sia fuori che "dentro".

"C'è forza nella pioggia che bagna il bordo del lavandino
e le mie braccia tese, oggi.
Non nelle colline, nè nel cielo che tiene bassi gli uccelli
e ha i colori sbiaditi di una polaroid.
Emanuel Carnevali, morto di fame nelle cucine d'America
sfinito dalla stanchezza nelle sale da pranzo d'America
scrivevi"

Un vecchio libro dimenticato da molti, un poeta malato dimenticato da tutti, una vita che ora, grazie a questo pezzo, ritorna, prepotente e potente come chi l'ha vissuta: Emanuel Carnevali, figura misteriosa e defilata, poeta, emigrante, solo, tormentato dalla malattia e dalla sua stessa vita: pulsante, sanguigna, tumorale.

Clementi (voce e basso) non lascia scampo alle parole: le attira a sé, le rende vive, evocative e stordenti. La musica lo accompagna nel suo recitare, la chitarra e il basso battono il ticchettio della pioggia.

"Lungo i Bordi" è un disco di inquietudine ("Pizza Express", "La notte dell'11 ottobre"), solitudine, attesa angosciosa e senza significato, misterioso nulla, vita quotidiana perforata da verità latenti, amori falliti e fallati, sesso perverso, stanze vuote. È un viaggio al termine del passato, dei ricordi di giovinezza, di anni passati, di rimorsi; un viaggio notturno, dove il traffico ascoltato è "profondo come una sinfonia".

La notte è "Lungo i Bordi"; nella notte si muovono i personaggi delle storie di questo disco: notturno, agitato e calmo come solo la notte sa essere, con le sue luci al neon, il suo buio, le sue riflessioni, le sue sbronze; la notte che poi sfuma nel mattino: la bocca impastata, il riposo dopo l'insonnia acida e febbrile, alcolica e disfatta.

C'è la musica ad accompagnare tutto questo, sempre evocativa, tempestosa, fragorosa a volte, rassegnata e  ossessiva altre, una musica che ha lo stesso peso delle parole, in simbiosi con i testi di Clementi. Ci sono le storie, gli sprazzi di vita rubati, come una confessione involontaria data da un vino scadente in una serata scadente. Ci sono quattro uomini dietro questo disco: Emidio Clementi(voce e basso), Egle Sommacal(chitarra), Vittoria Burattini(batteria), Gabriele Ceci (chitarra) , quattro uomini, non rockstar ne posticci semidei inargentati, che traspongono le loro anime (doloranti) nei solchi di queste tracce, di questi "pezzi di vita".

Capire, conoscere ed apprezzare questo disco è come conoscere una persona: non si possono saltare le tappe, c'è bisogno di tempo, di attesa che lasci depositare le cose, di silenzio.

Questo è un disco che, come tutti i capolavori, si esula dal tempo; non è inquadrabile in un preciso momento storico; potrebbe essere stato registrato ieri, dieci, venti anni fa e, in quanto capolavoro, va oltre stupide e inutili determinazioni temporali, non si inquadra in un genere, ma è Musica, forse la migliore musica prodotta in questo paese.

"Lungo i Bordi" è stato un uragano nel panorama musicale italiano e, soprattutto, è stato un uragano per me.

Dopo, mi sono sentito come il soffitto di una chiesa bombardata.

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