Periodo di attività particolarmente intenso per Maurizio Abate che dopo "Standing Waters" (Boring Machines) e più o meno in contemporanea con l'uscita di un suo LP in collaborazione con Riccardo Sinigallia, si sperimenta con un lavoro che ci propone il suo lato artistico più sperimentale. Sempre ammesso che questo si possa scindere dalla sua attività come musicista nel complesso. Del resto quando si parla di questo artista, si fa spesso e volentieri riferimento a John Fahey e la sua devozione verso quello che viene definito come "primitivismo", ma in effetti questa stessa attitudine, che poi si è realizzata nella definizione di un vero e proprio genere musicale, va intesa in un senso più ampio che quello riconosciuto in maniera convenzionale. Così di conseguenza la genesi e la ratio dietro le composizioni di un lavoro così evocativo e carico di suoni meravigliosi come "The Maadi Sessions" non sorprendono né per la loro bellezza e per i suoni così sofisticati, né perché in qualche maniera sospesi in una dimensione sonora aliena e in bilico tra ambientazioni Ry Cooder e eco mediterranee.

Il disco esce un'altra bella etichetta nostrana che poi sarebbe la Backwards (Fabio Orsi, Claudio Rocchetti, My Cat Is An Alien, ecc. ecc.) e che alla pari della Boring Machines ha una certa attenzione e sensibilità verso pubblicazioni ispirate a contenuti sperimentali e in questo caso forse maggiormente orientate verso un immaginario psichedelico e che in questo lavoro è chiaramente dominante, sviluppando in composizioni di carattere minimalista le sensazioni derivate dalle visite di Maurizio in Egitto e in particolare nel distretto di Maadi del Cairo presso l'abitazione di due amici, Sara e Alberto Boccardi (peraltro presente come collaboratore nel disco all'interno della traccia "At Kanal"). Il disco, successivamente masterizzato da Giuseppe Ielasi, nasce praticamente così: con delle sessioni effettivamente svoltesi all'interno della abitazione di Alberto e Sara e dove Maurizio si è lasciato letteralmente assorbire da questa incredibile energia che ha potuto riscontrare in giro per le strade della capitale egiziana.

Un nuovo approccio allo strumento (la chitarra, ovviamente) e alla composizione con il sostegno valido di una elettronica minimale e mai invasiva ma sfruttata in maniera funzionale per dilatare i suoni e rafforzare la eco di quelle immagini in continuo movimento tra la folla delle strade del Cairo. Con le dovute differenze di genere e di contesto, il disco mi ha ricordato un altro bel momento per la musica italiana e un disco che dopo avere a suo tempo rilanciato la carriera musicale di Emidio Clementi, è finito sepolto sotto le sabbie del deserto. Mi riferisco a "Stanza 218" di El Muniria (Homesleep Music) che Clementi (con tutta una serie di collaboratori eccellenti, tra cui Steve Piccolo, cui pure alcuni lavori accosterei a questo qui di Maurizio Abate) ha scritto e registrato nella stanza di un hotel a Tangeri in Marocco, prima di ritornare a una certa piattezza con le ultime produzione con i Massimo Volume. Un altro momento storico e una storia differente tuttavia e che in questo caso invece che mostrare una certa nostalgia e quel richiamo alla lontana madre patria, qui guarda con meraviglia al mondo tutto intorno e che non vorrebbe mai lasciarsi alle spalle.

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