Recensendo “Hard Times”, il nuovo album di Max Navarro, mi sono convinto ancor più che il rocker italo-canadese sia uno degli artisti più sottovalutati ed ingiustamente snobbati dai media in circolazione. Il disco è una perfetta sintesi tra musica impegnata e melodie di facile presa, e rappresenta un salto qualitativo notevole rispetto ai precedenti due lavori, che pure ho apprezzato in passato.

Dal punto di vista sonoro, si tratta di un disco marcatamente southern con grandi riffoni che ti si stampano subito in testa, come nel caso di “Out of Bounds”, “Nothing’s Guaranteed” o dell’opening “You Can Rely On”. Il primo singolo uscito nelle radio è “Cryin’”, malinconica ballata rock impreziosita da una melodia di facile presa ma per nulla scontata, e da una batteria martellante che tiene alta la tensione del pezzo fino all’esplosione del ritornello. Il pezzo che però più mi è piaciuto è “Nothing’s Guaranteed”: trascinante e dirompente, è la classica canzone che ti prende al primo ascolto e non la molli più. Le linee di basso vanno ad intersecarsi con un perfetto arrangiamento di chitarra creando un mix esplosivo. Lo stesso tono claudicante della strofa pare fare pendant con il tema della canzone che esprime la totale imprevedibilità dell’esistenza umana.

Dal punto di vista dei testi, siamo allo stesso tempo alle prese con un album piuttosto maturo: un addio inesorabile alle tematiche giovanili e adolescenziali per seguire un filone più impegnato che in precedenza si era già intravisto nella ballata rock “Torquemada”, del precedente “No Belonging After Dark”. Alcuni versi in particolare mi sono piaciuti talmente tanto da essermeli segnati sulla mia agendina, come quelli in cui ironicamente, ma altrettanto amaramente, Navarro afferma: “E’ tempo di darsi via / In questa situazione di vendita generale / Soldi in cambio di sentimenti nelle solite subdole trattative” da “You Can Rely On”, o ancora “Non è buono ciò che è buono, ma è buono ciò che è giusto / e ho capito che non è giusto ciò che è giusto ma è giusto ciò che la gente pensa essere buono” da “Beyond the Silence”: una beffarda denuncia dell’ipocrisia dilagante, divenuta ormai valore fondante di questa marcia società.

Il disco chiude con "End of the Universe", pezzo che contrasta con il resto dell’album sia dal punto di vista sonoro (avvicinandosi molto di più ad uno stile Springsteen alla “Lucky Town"), che da quello dei testi, essendo una canzone di speranza, forse a significare che in fondo al tunnel di questa crisi economica e sociale un piccolo barlume di luce per un futuro migliore ancora c’è.

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