Minirecensione su uno dei dischi più importanti della mia crescita musicale. [Cavoli, mi sembra di essere il Frusciante!]

Nonostante il Wikipedia italiano definisca questo album di poco cambiato rispetto al precedente, "She Hangs Brightly" del '90, trovo in realtà che la maturità e la creatività siano di molto maggiori in "So Tonight That I Might See", uscito tre anni dopo.

"Fade Into You", che apre le danze, è una di quelle ballate con le quali si va sempre sul sicuro: magica, sospesa in una dimensione altra, un quasi-valzer a velocità ridotta, poche note, precise, allungate attraverso l'effetto slide, che richiamano la California, che evocano l'infanzia e scene da estate americana malinconica.

C'è da considerare che l'LP esce in un periodo in cui il grunge domina il mercato, e quindi un periodo in cui la maggior parte dei giovani si identifica nella rabbia comunicata da artisti come Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam, Alice in Chains, Melvins, Tad, ecc. Nel Regno Unito, invece, si sta facendo avanti un nuovo genere: il trip hop, da Bristol. Gli U2 e i Depeche Mode vivono di strascichi, e abbracciano l'elettronica, - soprattutto i primi - dividendo le proprie fandom. Mentre gli U2 sposano l'elettronica al pop-rock di loro matrice, il gruppo di Gahan e di Lee Gore aggiunge più parti di chitarra elettrica. Si profila, intanto, la nuova tendenza, prettamente british, che non a caso verrà chiamata "britpop", con i Suede, gli Oasis e i Pulp. Sempre di rabbia e di scontento adolescenziale si parla.

Per quanto siano nobili tutte queste ramificazioni, ritengo il contributo dei Mazzy Star alla musica del tempo molto più sostanziale, originale e magico: niente rabbia, o meglio rabbia soffocata da dolcezza e abbandono. La voce della Sandoval è qualcosa di rilassante e conturbante al contempo - seducente e minacciosa. Il compianto David Roback, che, insieme a Hope, costituiva il nucleo compositivo dei Mazzy Star (tutti i brani sono firmati dalla coppia), tesse trame di chitarra mesmeriche, e se la cava egregiamente anche alle tastiere. Poco più di un paio di sessionman (basso, batteria e archi) sono quanto basta all'edificazione delle canzoni che vanno a comporre la tracklist - ognuna dimostrazione della grande capacità di sintesi, senza che manchi la profondità.

Ascoltare "So Tonight That I Might See", per me, è come rifare un tuffo nel passato dei primi anni '90, pur non avendolo vissuto, e approdare a un'altra dimensione. Brano più bello dell'album? "Mary of Silence", terza traccia, che richiama la "The End" doorsiana.

Voto: 9,5/10

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