Amo la domenica quando a pranzo vengono a farci visita i parenti. Dei mezzogiorni di novembre mi ha sempre colpito la dimensione verticale che la città assume: il cielo limpidissimo e profondo sembra attirare a sè le nuvole innalzandole ancor di più, ed esse sospirano sbuffi nevosi di brezza glaciale. Tutti i contorni degli oggetti, nitidi, sembrano delineati col taglierino. Dalla finestra, masticando arrosto, ammiro sempre rapito l'aere blumarino e la magnolia che trema infreddolita.

Ma amo ancor di più quando, sazio, mi ritiro con un buon libro, seduto sulla poltrona in angolo, e mi gusto un buon disco dal piccolo stereo posato a terra e mantenuto a volumi minimali; per me è questo il dessert più dolce.

Soffuse esalazioni si alzano accanto a me e mi proteggono gentili dal chiacchiericcio proveniente dal tavolo. Leggeri ricami di chitarra e sulfuree tastiere aleggiano tutt'intorno. D'un tratto una batteria si materializza e sguinzaglia i suoi uccelli della tristezza sotto forma di dolci vagiti elettronici. M'invade un improvviso senso di pace e mi immergo nella lettura. Soffici vocalizzi proteggono il mio angolo di paradiso dalle imprecazioni del nonno che commenta la formula 1, sospeso a mezz'aria sui fili lucidi e brillanti della perfezione. Solo i ronzii di quei fastidiosi bolidi riescono in parte a raggiungermi, sebbene protetto da una debole barriera di accordi gentili.

Gradualmente, mediante mirati quanto misurati aumenti di volume, il suono striscia sul pavimento, come un profumo, e, se non può toccare il divano e i suoi invasati, inonda, gaio, il tavolo, dove le donne sorseggiano il caffè. Mi piace pensare che quel dolcissimo ritornello (Hear the sirens / Trough the rain...) sia la causa dei sorrisi che a un tratto illuminano i loro volti; e lo sguardo fugge fuori, si sofferma su macchie rosa che intrepide sfidano l'aria frizzantina. Non credete anche voi che non ci sia fiore più romantico di quello che osa fiorire in novembre?

Le pagine scorrono veloci, tanto veloci quanto lente le strofe di questa musica, che più d'ogni altra concilia la lettura; mi sembra di vederla scorrere fra le lettere, come acqua fresca che purifica le frasi dalle macchinazioni della lingua e mi svela la tonda evidenza del concetto, chiara per una volta dietro le sbarre delle n, delle m.

Improvvisamente avverto una presenza familiare nell'aria, e mi si rizzano le antenne. Sono i Soundscapes.

Immediatamente, come una benigna vibrazione, il suono si espande e trasmuta l'ambiente, lo colora, lo immerge in un fluido adamantino, che fa splendere le cose che ami. La stanza è inondata di luce.

Immantinente ogni cosa sembra cristallizzarsi. E' magico. Non riesco più a leggere, sono come bloccato. Un flauto passeggia goffo su di me. Lentamente il cantato, garbato, mi conduce fuori, mi riporta sulla poltrona. Dove sono stato?

Non posso far altro che rimanere immobile, pietrificato, gli occhi su nulla e su tutto, e penso piano a tutta la mia vita. La musica mi aiuta, mi agevola la discesa nei miei ricordi, e mi mostra il passato, forse in una luce perfino troppo intensa. Ma ciò mi piace; raggiungo la pace con me, in me.

Infine tutto si riduce ad una coltre statica che mi schiaccia e, come fossi una spugna, mi strizza fuori tutte le nuvole che avevo dentro. Una manciata di note di chitarra esprime tutto il malessere che in stato di grazia avevo scordato, e mi riporta alla realtà.

Mi volgo incuriosito verso lo stereo. Cosa mi ha scovato il random? Ah, si, i Memories of Machines.

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