Mai stati prolifici gli svedesi. Dai loro primi vagiti musicali già intensissimi sul finire degli anni ottanta giungono con Immutable al nono disco sulla lunga distanza. A ben sei anni dal precedente: mai un lasso di tempo così dilatato tra un opera ed un altra. Come ho già scritto in un mio recente ascolto il titolo scelto dal quintetto è emblematico, diretto, esplicativo: nulla cambia, nulla potrà mai cambiare nell'intransigente "barrage" creato. Sono in pratica schiavi del loro stesso suono; imprigionati e chiusi a riccio senza concedere, a parte qualche rarissimo momento acustico che in qualche modo risulta essere l'unica novità di un disco altrimenti complesso, respiro o tregua. Claustrofobico, tecnicissimo allo spasimo ma allo stesso tempo fin troppo minimale e scontato per chi conosce da sempre i Meshuggah. Ma non posso, non potrò io stesso mai cambiare idea su di loro; mai potrò non dare un voto eccellente alla band. Sono soggiagato dalla loro forza espressiva, guidati come sempre dalla voce esageratamente strappata e monocorde (ma che è perfetta per il groove sincopato eretto dai colleghi) di Jens Kidman. Due chitarre accordate sempre più in basso, per erigere gli abituali versanti montagnosi glaciali impossibili da valicare. Ma la vera forza trainante di un disco che supera l'ora di durata è la psicotica batteria nelle mani (ma siamo sicuri che ne ha soltanto due!?!) di Tomas Haake. Tempistiche asincrone, poliritmiche in continua evoluzione-rivoluzione; quando pensi di aver memorizzato l'andamento di un brano, ecco che d'improvviso tutto cambia, muta...e ti asfaltano per l'ennesima volta... Sono presenti ben tre strumentali dove viene ancor di più messa in evidenza l'unicità di un sound tra i più riconoscibili di tutto il Metal più pesante delle ultime tre decadi. Non serve segnalare brani quest'oggi e non mi serve altro per il massimo dei voti.
Ad Maiora.
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