Musica fuori dal tempo, che non appartiene a nessun genere o epoca, in un mondo che sta cambiando rapidamente.
L’omonimo debutto dei Metro è una tanto luminosa quanto dimenticata meteora dell’art-rock inglese. Raffinata ricerca sulla canzone pop, colta e decadente, che in un certo senso anticipa il lavoro di David Sylvian con i suoi Japan. Forse più nell’estetica e nelle intenzioni che propriamente nella formula musicale.
La band prende corpo dall’incontro di Duncan Browne, abile polistrumentista ed autentico dandy del mondo sotterraneo britannico, con il cantante e tastierista Peter Godwin. I due vengono raffigurati nella copertina del disco nei panni di eleganti gangsters da film noir di serie B. E se proprio si vuole trovare un trait d’union tra l’artwork e la musica proposta da questi signori, non vi è dubbio che sia proprio l’eleganza.
I Metro mettono sul piatto una serie di composizioni dalle fantasiose geometrie sonore, brani in continua mutazione che uniscono la verve di un certo pop danzereccio alle costruzioni armoniche tipiche del progressive più romantico, a tratti speziate di aromi folk. Perizia tecnica e arrangiamenti sofisticati, suoni morbidi e morbosi, il tutto al servizio di una creatività non comune.
"Criminal World", con il suo basso singhiozzante e il portamento terribilmente sensuale, è l’unico brano conosciuto del disco. Anche se purtroppo deve la propria fortuna non tanto all’effimero successo ottenuto a quei tempi, quanto alla successiva (e ahimè pessima) cover eseguita dal Duca Bianco su “Let’s Dance”. Ma proseguire lungo i solchi di quest’opera evidenzia, se ancor ce ne fosse bisogno, quanto a volte il destino sia ingiusto nei confronti dell’arte.
Le atmosfere impalpabili della delicata “Flame” e la sua malinconia strisciante, bagnata da piogge di riverberi, sono affreschi di rara bellezza. Come peraltro lo sono le intriganti architetture folk di “Black Lace Shoulder”, brano sostenuto da movimentate percussioni sulle quali si libra uno sghembo violino tzigano a conferma dell’imprevedibilità compositiva del gruppo. E non ci si può dimenticare della dolce ballata “One Way Night”, dalle soffuse pennellate di pianoforte, gli archi ad aprire squarci di malinconia e una melodia che attraversa le pieghe dell’anima.
Il resto del disco è composto da brani più ritmici e briosi, che però non sfigurano dinanzi a queste perle e in un certo senso ne bilanciano l’aura fortemente nostalgica. E’ un mondo strano quello in cui si avventurano i Metro, il treno del successo non ferma alla loro stazione e la band non riesce ad andare oltre i timidi apprezzamenti della critica. L’insuccesso commerciale causerà la precoce fuoriuscita di Duncan Browne, vera mente creativa del gruppo, e la magia si spegne immediatamente. Quest’album tuttavia mantiene lo stesso fascino di allora, la forza di un piacere peccaminoso che il tempo non riesce a scalfire, e che il cuore non riesce a dimenticare.
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