Recensione album "Bad" di Michael Jackson

Il 1987 è l’anno che vede l’uscita del terzo e ultimo album frutto della collaborazione tra Michael Jackson e il mitico produttore Quincy Jones. All’inizio degli anni 80 i due avevano pubblicato l’album ad oggi più venduto della storia, Thriller. Michael teme il confronto con le cifre assurde di quell’album e nonostante anche oggi Bad non sia riuscito a raggiungere le vette di Thriller, direi che 30 millioni di copie vendute lo rendono comunque un grande successo.

Parlando di qualità musicale, l’album non ha nulla da invidiare al suo predecessore, anzi in questo lavoro troviamo un Jackson ancora più attivo in materia di scritture di liriche e musiche. Un beat squillante e un basso dal giro convulso aprono la pista con la title-track “Bad”, un pezzo carico di funky ed elettronica, la voce di Michael è grintosa e sicura nell’affermare che è l’avversario più duro da battere. Tanto r’n b e pop elettronico troviamo nella up-tempo “The way you make me feel” un vero classico da dancefloor, marchio di fabbrica dello stile del cantante. Rombi di motori ci portano alla convulsa “Speed demon” pezzo un po’ sottovalutato ma è da notare la qualità del basso e della chitarra in questa canzone che nel chiudersi in dissolvenza ci lascia entrare nelle atmosfere più soft ed esotiche della ballata “Liberian girl”, pezzo dal testo un po’ troppo melenso ma la melodia è davvero evocativa e la voce sommessa del cantante è a dir poco coinvolgente. La quinta traccia dal ritmo decisamente dance è frutto della collaborazione col maestro Stevie Wonder, il pezzo in questione è “Just good friends”, piacevole ma di certo non il migliore qualitativamente. Il suono sincopato delle tastiere di Greg Phillinganes ci portano al brano “Another part of me”, brano molto energico e ballabile in puro stile anni 80.

Il settimo brano è uno degli evergreen della storia musicale, si tratta di “Man in the mirror” fantastica canzone soul e gospel a sfondo sociale, un classico di Jackson molto amato per le belle parole e per le dolci melodie. I suoni evocativi di tastiere e sintetizzatori ci trasportano nell’atmosfera sognante e romantica di “I just can’t stop loving you” in duetto con la famosa Siedah Garret, anche questa una perla di Bad. La chitarra rock di Steve Stevens ci introduce nel capolavoro rock dell’album, immancabile in ogni opera di Michael; si tratta dell’appassionata “Dirty Diana”, un vero classico rock in cui gli acuti del cantante se la giocano con i riffs della chitarra. Un’atmosfera di tensione scandita da un battito cardiaco ci trasporta nell’ennesimo capolavoro elettro-funky dell’album; parliamo di “Smooth criminal” dove la voce sussurrata di Michael si alterna tra urli e scat vocali inimitabili. L’album si conclude con “Leave me alone”, un vero e proprio grido liberatorio in cui Jackson prega a tutti i suoi detrattori e ai mass media di lasciargli un attimo di respiro. Davvero notevole l’uso dei cori nei ritornelli.

Termina così l’album che riconferma Jackson come dominatore incontrastato della musica pop anni 80. L’opera è colma di pezzi di gran valore, il lavoro di produzione e la ricercatezza dei suoni a mio parere è davvero al culmine. Bad rimane una pietra miliare della storia musicale e della discografia di Michael Jackson.

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