SOLE, SALUTE & SANE SCOPATE! 

“Ohhh finalmente un film di sesso gioioso e divertente, come dovrebbe essere davvero il sesso vissuto bene” dissi alla proiezione di questo film in un cinemino d’Essai nel lontano 1992.
Un film questo Sex and Zen (1991) del giovane Michael Mak che si discosta di molto dalle rappresentazioni torbide e malsane di sesso sofferto, faticoso, cupo e esistenzialista di molte pellicole occidentali a suo modo storiche (basti pensare a “Ultimo Tango a Parigi” o a “Nove Settimane e mezzo” tanto per buttare lì due nomi su una sterminata filmografia di genere).
Un film che, 15 anni fa, inaugurò davvero un nuovo genere e che è ancora considerato un cult di un erotismo soft ma divertente e allegro, lontanamente ispirato al classico della letteratura erotica orientale “Il tappeto da preghiera di carne” del 1634 dello scrittore Li Yu.

La cosa bella che si gode fin da subito è la gran quantità di scene goliardiche inframmentate a scene erotiche ad alto tasso di eccitamento, pur mantenendo la storia sul filo dell’ironia e mai scadendo in volgarità eccessive da pornazzo duro&puro (più comico dei nostrani filmazzi anni'80 con la Fennech ma molto più arrapescion dei polpettoni-puttanoni del veneziano Brass!!).

Al regista Michael Mak il difficile equilibrio riesce in una contrapposizione ben dosata tra “piena carnalità” (tette abbondanti sballottate a gogo, falli equini, fellatio entusiastiche, accoppiamenti acquatici e sonatine torbide di flauto a doppia via) e insegnamenti vagamente “zen” (Più si copula e più il corpo vive in equilibrio – mai vergognarsi dei propri desideri più nascosti – e altre chicche disseminate qui e là nel film).
Ricco di trovate visive al limite del grottesco (ci sono vari accoppiamenti tra marchingegni di catene e carrucole e un sano sado-masochismo più o meno latente ovunque) il film è un’ode al sesso e alla giocosità del farlo, esibirlo, mostrarlo alla luce del sole, senza inibizioni o tabù perché “non c’è nulla di cui vergognarsi se le cose vengono fatte con gioia e amore”.

E’ la storia di un giovane che (come il 70% dei giovani) vorrebbe scoparsi tutte le femmine che gli capitano a tiro ma non avendo grosse misure a supporto, si fa trapiantare il gran fallo di un cavallo (una delle scene più comiche che mi ricordi!) combinandone di tutti i colori tra belle topone praticamente sempre disponibili, battute lussuriose goliardiche ma mai dozzinali e invenzioni coreografiche davvero geniali e spiazzanti.

Un film fortemente visivo, dove a recitare non sono certo le espressioni facciali, i dialoghi o lo spessore psicologico dei diversi personaggi (poi ‘sti cinesi, diciamola tutta, hanno tutti delle gran facce da pesce lessato per noi europei!).
Qui i veri protagonisti diventano i muscoli esibiti, la carne bagnata, i glutei scolpiti, i tatuaggi e le azioni davvero ben orchestrate in un tripudio di organi, nervi, ansimi e sudore eccitanti quanto basta per avere timide erezioni cinefile.
Un film che ci parla anche attraverso una serie di luoghi comuni ormai fissati nella mentalità maschile dall’alba dei tempi: più donne ci si tromba e più si è virili, più si ha il pisello grosso e più si è fichi, più posizioni sessuali si conoscono e più si pensa di conoscere l’arte amatoria e via di questo passo. Molta ovvietà e non tutta sta gran verità (diciamolo pure, su!).

Oh beh, come tutte le storie che si rispettano c’è anche la sua morale finale (chi troppo vuole nulla stringe, in sintesi) ma qui, davvero, la storia è gran poca cosa. La cosa più riuscita di questo film, ripeto, è il giusto dosaggio tra risate e sesso che è uno degli esercizi più difficili da ottenere, al pari dell’accoppiata horror e comicità, a volte sbilanciandosi sulla parte umoristica (e si ride non poco) e a volte sulla parte pruriginosa (e anche qui, vi assicuro, certe scene sono più arrapanti più di un filmetto hard della Rocco Siffredi Production!).

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