Piscio piccante per colpa di quel cinese fottuto che mi ha fatto gli spaghetti ai frutti di mare pieni di tabasco. Sputo sangue e bestemmie, una piaga divina deve cadere sulla Cina, una pioggia di acido solforico, tiè. È che ho paura che mi bruci pure il buco del culo. Sto messo male, scatarro, non sono a casa mia e condivido una latrina da circa un mese. Quando sono arrivato ero appena laureato, oggi ho capito che in certe situazioni, il pezzo di carta non ha una grandezza tale neanche per pulirci bene il culo. Qualche tarzanello lo devo levare a mano per poi lavarmi con l’acqua marcia che i locali di Plumstead a loro volta pisciano, manco fossimo ai giardini di Boboli versione burlesque. Comunque esco dal bagno e me ne vado senza pagare. Meglio, esco dal bagno con la tazza in braccio. No scherzo. Col coso da fuori e mi faccio arrestare. Almeno una notte tranquillo la passo dentro.

Una notte, in cui poi ho pensato a lei, alla mamma a cui ho rubato diverse volte i soldini dalla borsetta e al papà che mi ha pagato gli studi. E io lo ripago così. Alla sorella che finge di essere forse forse arrivata al bacio mentre quello che fa l’ala destra nella squadra del paese e si chiama Mbomi già l’ha assaggiato sia per il lungo che per il largo. Fanculo, va. Mi prendono per il culo tutti perché ho la sorella troia che si fa il negrone. Alcuni dicono pure due. Insieme. Ok. Cambiamo discorso. Ora diranno a casa che sono dentro, s’inventeranno che un negrone s’è fatto pure me, quei bastardi. Che ancora fumano l’erba salentina, o calabrese, o chissà di dove. Sicuramente albanese. Qui ci si inietta altro e mi piace tanto. Sì, perché quando poi vado in centro e prendo il tubo pare che vado nello spazio. E in superficie ci sono tante fighe ma anche tanti parchi. Cioè parco e figa poi è l’accoppiata vincente. Se trovi quella andata basta una siepe. Mi è successo con una grassona spagnola ed è stato bello. Non mi riesce mai con quella che mi fa il corso. Mi facesse dell’altro magari. Comunque è più o meno sempre tutto uno sballo qui. Come quando vedo quello con la cresta che insomma, alla fine io sono figlio di puttana più di lui. Lui ha la cresta, io ho la testa. Come l’altra sera alla festa italiana quando ho bevuto non so cosa con dentro non so cosa. Mentre tutti si squagliavano io sono rimasto lì deciso a resistere e non vedevo quello che vedevano gli altri perché io, cioè, mi spacco e ho pure il fisico.

Oppure ho solo un tremendo bisogno di fare un po’ di ordine nella mia vita. Non lo so, mi sento confuso, mi sento assassino dei miei sogni e generatore dei miei incubi. Mi sento che la vita non risponde ai comandi eppure mi piace vederla andare a puttane così, nel giro di un mese. Certo che non posso farcela a fare ordine, fin quando quello stronzo del vicino di latrina continua a disturbarmi battendo i tasti di quel cazzo di portatile di merda che ha e ad ascoltare questa musica suonata da una banda di morti.

Geek! è il secondo EP dei My Bloody Valentine targato 1985. Quello che batte i tasti sono io. Mi sono inventanto questa cosa senza senso perché potreste provare a leggerla ascoltando i brani di questo lavoro.  Ci sta, no? In testa ho nomi così pesanti che ho sbattuto la faccia nel cimitero di sigarette qui sul tavolo: defunti di Beatles, Joy Division, Sex Pistols. E poi c’è qualcuno vivo tipo J&MC. Immaginatevi che vitalità purulenta. Un gruppo che va come uno zombie, non lo abbatti, nella direzione di un etereismo che qui, forse, pare insospettabile. E invece poi ci sarà e comunque un po’ c’è. Da questa ossidoriduzione dei Misfits nascono angeli che volano senza ali. Quindi uomini sospesi. È un bilico mortale, secco, che non fa bagnare le donne e piace solo agli uomini che non vogliono più sentire ragioni. Death rock qui ci sta. Un ballo della morte come quelli in Dylan Dog dove ci sono scheletri vestiti da bikers coi capelloni che in qualche modo prima o poi te lo mettono in culo e diventi come loro. Il limite è che all’epoca i My Bloody Valentine rischiavano di diventare anch’essi come loro. Il pregio è che sono diventati come il ciclo delle acque, capaci di essere ovunque e in ogni cosa, trasalendo e discendendo verso gli inferi personali di ognuno di noi. A partire da qui. Oppure, forse ho solo scritto una marea di vuoti a perdere.

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