Parlami di qualche cosa che per me sia importante. Voglio dire. Raccontami qualche cosa di importante, che abbia un significato importante qui, adesso, nel tempo presente. Diimmi qualche cosa su chi siamo veramente e il posto dove viviamo. Voglio che mi racconti qualche cosa di vero sulle città e la società in cui viviamo. Qualche cosa che abbia senso oggi e che stia accadendo proprio ora attorno a noi. Mentre stiamo parlando. Voglio ascoltare qualche cosa che abbia veramente significato per me e quello che sono e che rappresenti in qualche modo anche la mia generazione.

La grande domanda infatti è. Dove cazzo sono quelli che avrebbero dovuto essere i cantautori rock della mia generazione? Sono nato nel 1984 e quando ho iniziato ad ascoltare musica (coscientemente, voglio dire), io come la maggior parte dei miei coetanei, abbiamo cominciato a ascoltare musica grunge e band come Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden... Questo succedeva automaticamente, perché del resto questa era la roba che passavano alla televisione, così... In pratica quando ho cominciato a frequentare il liceo, nel 1997 oppure nel 1998, ascoltavamo questa roba qui che nei fatti apparteneva già al tempo passato. Scrittori di canzoni come Andrew Wood e Kurt Cobain, due icone di quella generazione precedente, erano già morti e sepolti e tutto quello che era rimasto di quel movimento era solo e niente altro che fottuto business. Le televisioni continuavano a proporre quella musica e hanno continuato a farlo per anni. Del resto, diciamocelo chiaramente, la figura e il carisma di Kurt Cobain erano qualche cosa di veramente speciale, di unico e che, nonostante il fatto egli non abbia mai voluto essere una star, funzionava alla grande. In qualche modo funziona ancora oggi. Questo chiaramente non ci porta a rispondere alla mia domanda iniziale. Dove cazzo erano i cantautori della nostra generazione? Le principali etichette discografiche, subito dopo il boom dei Nirvana, acquistarono centinaia di piccole etichette in tutti gli USA, fecero piazza pulita e cercarono di proporre delle sonorità e dei contenuti che richiamassero quello stile. Il risultato finale fu ovviamente un vero e proprio 'salto generazionale' e la musica che venne proposta fu per lo più vera e propria merda. Se mi guardo indietro, adesso ho maturato perfettamente la convinzione che in quel momento non avevamo nessuna idea concreta su ciò che stesse accadendo nel mondo e che, cosa ancora peggiore di questa, non sapevamo un cazzo su noi stessi. Non parlo quindi necessariamente di grandi cause e di quello che sarebbe il mostruoso 'macro-sistema'. No, noi non sapevamo un cazzo di noi stessi e di quella che era la nostra vita di tutti i giorni. Non sapevamo stare assieme, non ci sapevamo confrontare, non sapevamo che cosa fosse l'amore. Non ce lo avevano insegnato e non ce lo avrebbe mai insegnato nessuno. Tutto quello che ci avevano detto era quello di guardare sempre a chi era venuto prima di noi e ascoltavamo musica di persone che in realtà erano morte da anni oppure di personaggi lontani anni luce dalla nostra vita quotidiana.

Non è tutto qui naturalmente. Naomi Klein nel 2000 pubblicò, 'No Logo'. Fu un successo incredibile, dovevo avere quindici o sedici anni, fui veramente molto colpito da quello che aveva scritto e ancora oggi apprezzo quello che fu il suo lavoro all'epoca, ma anche i contenuti di quell'opera, che pure era, fu una specie di manifesto generazionale, si riferivano a qualche cosa che era accaduto prima (ovviamente scriveva anche con un occhio a quello che sarebbe stato il tempo futuro, sia chiaro che la considero un'autrice molto brava e capace di critiche brillanti). Quando un anno dopo a Genova, Carlo Giuliani, che Dio lo benedica, sarebbe morto durante una manifestazione in occasione del G8 nel nostro paese, in pratica tutto quello che aveva scritto Naomi Klein relativamente la creazione di un movimento sociale internazionale e critico della globalizzazione e del capitalismo corporativo, a un certo punto non aveva oramai nessun senso. Tutto stava per finire. La fiamma, come dire, bruciò ancora per due o tre anni, perché Osama Bin Laden, perché le guerre in Afghanistan e in Iraq... Poi tutto si è fermato. Immagino che sicuramente esisteranno ancora movimenti internazionali di questo tipo, eppure, leggendo i giornali o guardando le televisioni, adoperando i tradizionali canali informativi su internet, non troverete nessuna informazione in proposito. Tra le altre cose, tanto per dire, adesso stiamo di nuovo combattendo una guerra in Iraq, tanto per cambiare, che per caso qualcuno mi saprebbe dire qualcosa al riguardo?

No, non voglio urtare la sensibilità di nessuno, non ho nessuna intenzione, ma la verità è che la nostra generazione è stata come se fosse semplice gelatina. So che molti non saranno d'accordo con me. Del resto ognuno rivendica quelli che sono stati gli anni della sua giovinezza e tende anche in qualche modo a idealizzarli, a considerarne ogni singolo contenuto come il migliore possibile. Questi diventano i contenuti dominanti delle loro esistenze e tutto in qualche modo allora si ferma a quel periodo. Tutto quello che succede dopo in un certo senso non ha alcun senso. Questo naturalmente vale anche per le generazioni precedenti. In un certo senso è sempre la stessa merda e per questo poi non ci troviamo mai. È stata la stessa merda anche per la mia generazione che del resto veramente non avrebbe e non ha nulla da rivendicare per sé.

Nel frattempo il mondo è cambiato radicalmente. La nostra società è cambiata rapidamente a causa di internet (soprattutto) ed è cambiato il mondo della musica. È emersa una nuova generazione di cantautori differente da quelle precedenti. La maggior parte di questi sono ovviamente emersi da quella che sarebbe la sottocultura e il movimento 'indie'. Molti di questi scrivono canzoni pop che possono andare bene per quelli che definisco club dove potrebbero benissimo servire aperitivi e passare della musica lounge; altri invece si fanno crescere la barba e si mettono degli occhialoni e si danno un'aria di santoni e un aspetto che oggi viene definito 'nerdy' e cantano canzoni molto noiose e peggio di quegli episodi più intellettuali e radical-chic degli anni sessanta. Tra le altre cose spesso rifacendosi ad ambientazioni bucoliche e pastorali. Tutte cose di cui non ce ne frega un cazzo.

Naturalmente non tutto è spazzatura. Matt Elliott, Sufjan Stevens (sono i primi due nomi che mi sono venuti in mente) sono ottimi cantautori e che personalmente apprezzo molto. Ma non sono scrittori di canzoni di musica rock. Ditemi il nome di un cantautore rock emerso alla fine degli anni novanta oppure nella prima parte del nuovo millennio. Paradossalmente, per quanto possa sembrare strano, possiamo trovare un sacco di scrittori di canzoni 'importanti' in altri generi che nella musica rock.

Per tutte queste ragioni, ma anche per la sua incredibile bellezza e grazia, questo disco, 'A Little Death' (il termine che i francesi adoperano per definire l'orgasmo, ma cui Jeff Klein ha voluto dare un significato di fase intermedia, come a voler intendere che la fine costituisca in questo caso il raggiungimento di una meta e quindi la conditio necessaria per un nuovo inizio), è quello che facendo uno stupido gioco di parole, voglio definire una specie di piccolo miracolo. Questo perché, cazzo, ecco finalmente un disco con dei contenuti veri. Che abbiano veramente un senso. Uscito su Washington Squadre, il nuovo disco della band di base a Austin, Texas, i My Jerusalem, ha esattamente quelle caratteristiche cui facevo riferimento. A parte il fatto che senza dubbio ci troviamo davanti a un disco di fottuta musica rock and roll e a uno scrittore di canzoni, Jeff Klein da Newburg, New York, una personalità interessante e che, lungi dall'essere in qualche modo eccentrica, è persona calata completamente nel contesto della società in cui viviamo oggi e che, sebbene egli non si definisca un cantautore politicizzato (non lo è, non del tutto, e del resto questa sarebbe una definizione limitativa), scrive canzoni su che cosa significhi vivere in questi strani e fottuti tempi bui.

Il suo periodo di apprendistato è stato lungo, prima di trovare finalmente la propria strada e dare il via a questo suo progetto che sta portando avanti dal 2010. Trasferitosi ad Austin nel 1999, cominciò a registrare alcune canzoni come solista prima di cominciare a collaborare con artisti come Ani Di Franco, Ed Harcourt e soprattutto Greg Dulli e Mark Lanegan. Suonava le tastiere nei Twilight Singers e divenne tournista dei Gutter Twins (assieme agli altri futuri membri dei My Jerusalem, Jon Merz, Kyle Robarge e Grent Van Amburgh). Esperienze che sono state sicuramente pregnanti e influenti nella formazione di Jeff Klein come musicista e scrittore di canzoni e che hanno costituito un enorme patrimonio per i My Jerusalem e le basi dell'intero progetto, unitamente alle sue doti vocali, che sono stato notoriamente apprezzate e variamente accostate ai vari Tom Waits, Nick Cave, Mark Lanegan e questo sebbene io non riconosca una particolare affinità da questo punto di vista con nessuno dei cantanti nominati. Allo stesso tempo è indubbio comunque che si tratti di un buon cantante e in modo particolare di un songwriting eccellente e che a ragion d'essere voglio paragonare ai suoi due maestri, Greg Dulli e Mark Lanegan, ma anche a Nick Cave per certe sonorità blues e oscure, anche se manca in ogni caso il furore tipico dei Bad Seeds.

'A Little Death' si apre con 'Young Leather', un blues elettrico dalle atmosfere thrilling e che paga pegno alla tradizione delle sonorità 'vibe' del sud degli Stati Uniti d'America e a quella del piano-rock e con l'uso imperioso delle trombe che fanno esplodere le sonorità rock and roll in un trionfo di strumenti a fiato come se si stesse ascoltando al suono di una grande orchestra su cui dominano incontrastati i vocalismi di Klein ('Dominoes').

'Rabbit Rabbit', la canzone che ha anticipato il disco, riprende lo stile di band più recenti come gli Interpol in virtù degli arrangiamenti wave e del suono delle chitarre e per l'uso dei synth. Lo stesso Jeff Klein ci ha tenuto a spiegare i contenuti della canzone, che parla di quelli che potremmo definire 'rituali' e superstizione. Cose di quando era bambino e tempi in cui dava un particolare potere mistico alla ripetizione ad alta voce della parola, 'Rabbit', al risveglio al mattino del primo giorno di ogni mese. Atmosfere emozionanti e chitarre elettriche lampeggiano come fiamme fulminanti ('Jive For Protection') mentre camminiamo a testa bassa, guardandoci le scarpe e contiamo ogni passo, mettiamo un piede dietro l'altro come se stessimo camminando su di un filo sospeso immaginario e giochiamo d'azzardo invece che attaccarci a quelle che possono essere delle sicurezze concrete, perché i nostri tempi sono sempre incerti e non potranno mai essere diversi da quello che sono ora anche in futuro e nel futuro di questa gigantesca e indefinita realtà suburbana.

Pervaso da atmosfere dark, il disco procede con ballate rock come 'It's Torture!', in cui il cantato effettivamente rimanda allo stile interpretrativo di Nick Cave e le chitarre suonano in quella maniera lenta, soffice, tremendamente sexy come quelle degli Afghan Whigs di Greg Dulli. Ma 'A Little Death', come detto, è un album che parla soprattutto nella vita nelle grandi città. Jeff Klein è quello che è stato Greg Dulli ('Eyes Like A Diamond') per la città di Cincinnati, Ohio, oppure Paul Westerberg ('Flashes', 'Young and Worthless') per Minneapolis, Minnesota. L'ascolto ci cala in quelle che sono ambientazioni noir e da classici romanzi del genere hard-boiled. Siamo eroi solitari in una grande città come Philip Marlowe o Sam Spade o Mike Hammer. Quello che facciamo è letteralmente sprofondare nelle viscere della città, che ci attanagliano come se questa ci stringesse nel palmo delle sue mani. 'No One Gonna Give You Love', una ballata rock d'amore con toni desperati e l'indistinguibile sapore blues; canzoni che hanno il profumo e i tratti indistinti del fumo di una sigaretta ('Done and Dusted') e che si chiudono drammaticamente con il vibrato e la distorsione delle chitarre; piano blues suonati in club semi-deserti nel cuore della notte, quando fuori è freddo e non c'è nessun altro in giro e sei completamente solo e sai che quel suono è l'unica cosa a cui ti puoi attaccare con tutte le tue forze per sentirti vivo e non cadere e perderti definitivamente nei meandri della città ('Chrysalis').

Jeff Klein ha definito il disco come in parte 'moderno' e in parte comunque legato alla tradizione, ma questo è del resto qualche cosa di inevitabile se parliamo di rock and roll music e ci rifacciamo alla lunga tradizione del blues, considerando questa come la musica che cura l'anima e fa bruciare forte l'amore dentro i nostri cuori, la musica fatta da e per le anime solitarie e gli emarginati e per sentirsi meno soli. Tra i riferimenti al disco, Jeff Klein ha voluto menzionare il film di Walter Hill del 1979, 'The Warriors' ('I guerrieri della notte), che, basato sul romanzo dello stesso nome di Soul Yurick (1965), è completamente ambientato nella grande città di notte e popolato da persone e anime solitarie che si aggirano random per le strade cercando di dare un senso alla propria vita o semplicemente di sopravvivere, prima di essere inghiottiti dal grande tutto. Questo è un disco speciale e che è carico di significati che non sono solo importanti per tutti quelli che si sentono soli (ma in fondo tutti, magari non sempre, ma tutti ci sentiamo soli) e per quelli che hanno la convinzione, giusta o sbagliata, che nessuno curerà mai le loro anime solitarie e che non ci sarà quella 'salvezza' di cui parlano le sacre scritture. Ovviamente in questo senso il disco non offre nessuna risposta, come potrebbe, se soltanto noi possiamo salvare noi stessi da noi stessi e magari ritrovando una ragione per farlo nelle musiche e le parole ('The City Is A Cannibal, I Think It Will Swallow Me...') che lentamente vengono sospinte dal vento lungo le strade fuori in strada oltre le vetrate delle nostre finestre. Tutto quello che dobbiamo fare, è uscire.

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