La vede piangere a dirotto sul ciglio della strada. Si ferma, le tocca la spalla e le chiede cosa le sia accaduto di così tremendo, proprio come qualunque essere umano farebbe nella stessa situazione. Quella ha gli occhi color Marte e digrignando i denti, con le labbra tremanti e le mani nella terra urla uno strozzato grido: “Mio figlio è morto!”. Lui la guarda con occhi pieni di compassione e dolcezza e poi se ne esce con un “Lo sai qual’è il colmo per…?”

Sono stato attirato da recensioni accattivanti e positive della nuova opera di Nadine Labaki e mi sono trovato in Libano, in uno sperduto paesino nel quale convivono cattolici e musulmani. La pellicola sarebbe interessante, essendo dotata di una trama ricca di spunti e coinvolgente, ma sono rimasto scioccato dai cambi di ritmo che definire azzardati è puro eufemismo.

Viaggiate in autostrada a 150 sulla corsia di sorpasso e poi, senza preavviso, il conducente inserisce la prima; il motore, il film, esplode e non potrebbe essere altrimenti. Con una velocità assurda, con un semplice stacco e cambio di scena, si passa dalla forte immagine della morte di un figlio all'allegra commedia esagerata. La trama perde gran parte del suo significato; diventa grottesca, irreale, rendendo futile la buona prova del cast e le diverse scene che, se prese singolarmente, risulterebbero essere riuscite e che invece nel complesso paiono scollegate tra loro. Cattedrali nel deserto. In una di queste, quella che crea i presupposti per il finale speranzoso e caramelloso, l’oppio diventa il protagonista assoluto. Non posso negare di avere avuto, durante la visione del film, la sensazione che questa materia abbia avuto grande importanza anche in fase di scritturazione.

La narrazione a scatti improvvisi, passando da un estremo all’altro in un baleno, è talmente esagerata che riesce a far passare in secondo piano l’altro elemento di critica che mi sento di muovere: il bieco e gratuito femminismo ad oltranza nel quale tutte le donne incarnano personaggi positivi, mentre quelli di sesso maschile che vengono salvati dall'obiettivo della cinepresa o sono ingenui, per non dire allocchi senza cervello, o giacciono orizzontali sotto un metro di terra. Volendo essere educati, mi pare sia una visione piuttosto puerile e generalizzante.

Solitamente scrivo per invogliare ad andare al cinema: il motivo per cui maltratto il braccio operato è che sul web ho letto commenti diametralmente opposti al mio; la visione di “E ora dove andiamo?” è stata inoltre particolarmente interessante nel suo essere del tutto spiazzante e deludente. Ai miei occhi rimane una mezza porcata retorica, esageratamente femminista, che fallisce quasi completamente l’audace tentativo di coniugare dramma, commedia e musical creando una pellicola di plastica nel complesso incapace di trasmettere il forte messaggio di integrazione e lotta all’integralismo che avrebbe voluto lanciare.

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