"He was a motherfucker of a songwriter and a great producer too". Bobby Gillespie

Chi è il Lee cui i Baustelle hanno dedicato un pezzo nel loro ultimo album? Proprio lui, il cowboy Lee Hazlewood, songwriter e architetto sonoro tra i più influenti del secolo scorso, da pochi anni passato a miglior vita dopo aver scritto pagine memorabili nell'immaginario pop-rock.

Del resto il playboy dell'Oklahoma vanta fan ben più illustri di Bianconi e compagnia: Nick Cave, Einsturzende Neubauten, Beck, Slowdive e ovviamente Primal Scream, gente che ne ha interpretato nel corso degli anni tanti cavalli di battaglia. Non è difficile capire il perché: dopo essere stato da Dj uno dei primi a passare i brani di Elvis Presley in radio, Hazlewood iniziò a fine anni cinquanta una carriera da eminenza grigia quale arrangiatore/tecnico/produttore. Segnatamente per Duane Eddy, ma anche Gram Parsons incrociò la sua strada al crocevia del nascente country-rock e persino l' attuale galeotto, nonché irascibile inventore del wall of sound Phil Spector pare gli abbia rubato parecchi trucchi del mestiere. Parallelamente, Hazlewood inseguiva velleità cantautorali da bohémien decadente, tradotte in forme di ballate country peculiari e originali, contraltare americano di Serge Gainsbourg, in album come "Cowboy in Sweden".

Nonostante cotanto curriculum, il col hors catégorie inizia nella tappa più imprevedibile del suo personale Tour, nel 1966. Sotto la sua ala protettiva approda Nancy Sinatra, sublime ugola degna di papà "Frank Blue Eyes", per la quale disegna l'hit "These boots are made for walking", singolo schiacciasassi nonché icona dei Sixties più sbarazzini ("Full metal jacket"  docet). Il passo successivo è l'album in questione del 1968. Semplicemente un capolavoro di pop poliforme, reso tale dall'irripetibile connubio tra due soggetti apparentemente agli antipodi: un Caronte inquieto e dal vocione da oltretomba (autentica ossessione per Mark Lanegan, si sa.. ) e una lolita maliziosa e solare come da copione, e le cui fusa sensuali e ammiccanti lo stesso Lanegan cercherà di replicare nella partnership con Isobel Campbell.

Tra questi solchi i due si inseguono in un gioco di specchi magico e lynchiano, tinte forti e zone d'ombra, negli scenari fiabeschi di "Lady bird" e "Storybook children" o nella sepolcrale riedizione dello standard "You've lost that loving feeling": in altre parole, le visioni mutanti di Angelo Badalamenti un paio di decadi prima. Gli arrangiamenti e le manipolazioni sonore di Hazlewood raggiungono una perfezione stupefacente persino per quel periodo d'oro del pop barocco, mischiando country, ipnosi orchestrali venate di cabaret e tenue folk lisergico alterando sottilmente le strutture armoniche classiche del pop. Si ascolti il telaio a incastro di "Some Velvet Morning", pezzo immortale di cui i Thin White Rope fornivano una versione acida e infuocata nei loro sanguigni concerti o gli accostamenti impossibili che limano le forme di "Greenwich village folks", del sottile glamour di "Sundown, Sundown"" o dei torbidi intrecci di "Summer Wine" e "Sand", forti oltretutto di armonie vocali semplicemente irresistibili. Un affresco spettacolare dei favolosi Sixties.

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