Ventisei anni. È questo l'intervallo di tempo che separa l'uscita di Chicopisco, ultimo lavoro di Neffa in qualche modo ascrivibile al rap, dalla pubblicazione di Canerandagio parte 1, atteso ritorno di Giovanni Pellino al genere che lo ha reso famoso negli anni Novanta.
L'annuncio, fatto qualche mese fa, ha scatenato un vero putiferio sui social network e sulle riviste specializzate. Centinaia di utenti sembravano attendere il 18 aprile come se fosse stato proclamato l'avvento di un nuovo Messia, il quale, in barba alla lunga assenza al microfono e alle cinquantasette primavere suonate, avrebbe salvato l'hip-hop italiano dallo squallore e dal declino in cui, secondo molti, versa.
Diciamocelo pure, il buon Neffa ci ha messo sicuramente del suo per alimentare le grandi aspettative del pubblico. L'ottima collaborazione con Fabri Fibra in "Foglie morte" e l'emozionante comparsa sul palco di Sanremo hanno fatto ben sperare; la notizia che stesse lavorando a un nuovo album, poi, ha fatto sobbalzare i fan più nostalgici, con successiva partenza di un estenuante countdown, manco fossimo a Capodanno.
Sgomberiamo il campo dai dubbi: nonostante alcuni meriti, Canerandagio parte 1 è un progetto che per intensità e consistenza non è paragonabile a SxM, Neffa & i messaggeri della dopa e 107 elementi (ma nemmeno alle sperimentazioni di Chicopisco).
Già la pubblicazione della scaletta ha fatto storcere il naso a molti: dieci tracce (nove più una intro) prive di collaborazioni con i rappresentanti della vecchia scuola, particolare non gradito ai fieri b-boy dell'epoca. Spazio invece a rapper emersi nel nuovo millennio (Guè, Noyz Narcos, il già citato Fabri Fibra), ad altri giovanissimi (Ele A) e ad artisti non così vicini alla scena o addirittura lontani da essa (M¥SS KETA, Francesca Michielin).
Il primo pensiero che mi è venuto in mente è che senso abbia riempire un LP lungo ventisette minuti di così tanti featuring (ben quattordici), con il rischio di fare capolino tra gli ospiti e ridursi a una semplice comparsa, quasi fossimo di fronte a un attore di secondo piano che dimentica di dover recitare un ruolo da protagonista.
La seconda riflessione, positiva, riguarda la qualità dei beat. Neffa è sempre stato un eccellente produttore e anche questa volta conferma la sua abilità alle macchine. Al netto di alcuni passi falsi (le sonorità sintetiche di "Cuoreapezzi" e "Argiento" o la base fin troppo scarna di "Hype (nuoveindagini)"), il resto brilla di luce propria: il funk minimale di "Littlefunkyintro", le atmosfere cupe della bellissima "Bufera", il jazz sospeso della title-track, il calore soul di "Perdersi&ritorno"... Tutto funziona egregiamente.
Detto ciò, che tipo di lavoro è Canerandagio parte 1? Forse quello che ci si può attendere da un musicista cinquantenne, lontano dalla scena attuale, dalla trap, dalla drill; un artista che sceglie l'hip-hop come forma di espressione e decide di farlo a modo suo, forse spinto dall'urgenza di riflettere in maniera amara su un presente che sfugge alla comprensione e un passato sempre più lontano, avvolto dalla nebbia dei ricordi.
Domanda legittima: ci riesce? A volte sì, altre no. Capisco la volontà di stabilire un legame con personaggi diversi, più contemporanei, ma in alcuni casi l'alchimia non c'è. La strofa di Noyz Narcos, ad esempio, è troppo banale, autocelebrativa, e non interpreta bene lo spirito di un brano come "Troppaweed". Pollice verso per la malinconica "Cuoreapezzi", dove Neffa pasticcia con i sintetizzatori e si adatta troppo allo stile di Guè e Joshua, non brillando nemmeno al microfono. E risulta dimenticabile la love song "Argiento", omaggio poco riuscito alle origini campane del buon Giovanni, con tanto di strofa in napoletano che lascia un po' perplessi e un Lucariello in versione Luchè dei Co'Sang (piacevole, invece, il ritornello cantato da Ste).
Non mancano i momenti positivi: l'egotrip di "Littlefunkyintro" ("Non mi faccio coca né paste/Ancora qui che fumo, c'ho TH nelle lastre": bentornato, Giovanni), i contribuiti di Franco126 in "Bufera" (forse la traccia migliore) e di Izi nella programmatica "Canerandagio", l'ariosa "Tuttelestelle", una canzone in cui il buio lascia spazio alla speranza e dove tutti (Neffa, Ele A, persino Francesca Michielin) sembrano risplendere.
Il resto, purtroppo, non convince. "Hype (nuoveindagini)" vorrebbe denunciare lo strapotere della società dell'immagine, ma si perde tra una base fiacca, un Fabri Fibra in bilico tra autoreferenzialità e approfondimento e una M¥SS KETA piuttosto imbrigliata, confinata a un ritornello che le sta abbastanza stretto. E almeno in un paio di occasioni le cose sarebbero andate meglio se Neffa si fosse limitato a produrre, lasciando la scena ai suoi amici (la nostalgica "Perdersi&ritorno" con Frah Quintale e "Miraggio", dove le rime del Chico Snef appaiono fuori contesto e in cui sarebbero bastati Gemitaiz e Joan Thiele).
Cala così il sipario su Canerandagio parte 1, un progetto non privo di pregi e tuttavia compromesso dalla brevità eccessiva, dalle troppe collaborazioni e da alcune strofe non indimenticabili del padrone di casa. Senza trascurare qualche beat non riuscito e la quasi totale mancanza di momenti ironici, leggeri, che avrebbero probabilmente stemperato l'atmosfera del disco.
Concludo con una riflessione personale. Rivedere Neffa sul palco dell'Ariston e ascoltare un suo album rap è stata comunque un'esperienza piacevole, un evento che mi ha riportato a quando, da ragazzino, ho visto per la prima volta il video di "Non tradire mai" sull'allora neonata MTV Italia. Non c'è molto da aggiungere, ma posso dire che l'emozione provata allora la rivivo ogni volta che rispolvero quel pezzo e di questo al caro Giovanni Pellino, in arte Neffa, sarò eternamente grato.
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