Sullo schermo il deserto e una donna a cavallo dentro un cerchio di fuoco. Un bambino la guarda...le dice qualcosa...e poi se ne va, camminando svelto e deciso.

All'improvviso un canto, il suono di una voce, una voce impassibile e ferma: sembra provenire da chissà quali lontananze, eppure ad ascoltare con attenzione si avverte una strana specie di fragilità, come se la voce pur lontana fosse anche in un certo senso troppo vicina.

Una voce divina e umana (troppo umana).

La macchina da presa, con una lunga interminabile carrellata, segue il bambino, la donna a cavallo non si vede più, ma è lei a cantare e quella voce impassibile, ferma e fragile è la sua:

“Mio unico figlio, non essere così cieco, guarda ciò che possiedi, non ci sono parole, nè orecchi, nè occhi per mostrare loro ciò che sai, le loro mani sono logore, le loro facce fredde..”

Trattasi di “My only child”, uno dei capolavori di “Desertshore”: nonchè uno dei brani (tutti di Nico) della colonna sonora di uno strano film francese, “La cicatrice interieure”, opera di un ancor più strano regista, allora compagno di vita della nostra chanteuse.

“Desertshore” è un titolo perfetto“, ma lo sarebbe stato anche La cicatrice interieure”. Garrel alludeva all'elettroshock, esperienza che aveva conosciuto purtroppo in prima persona, ma, aldilà di quell'esperienza, l'idea di una ferita profonda dentro di noi, si sposa perfettamente all'atmosfera del disco. Lo stesso dicasi per le immagini del deserto e degli altri luoghi impervi, aspri e solitari dove i personaggi del film sembrano muoversi senza senso.

Il film l'ho visto in lingua originale, capendo il giusto dei dialoghi, ma poco importa, che la bellezza delle immagini, il carisma di Nico e i brani da “Desertshore” bastano e avanzano.

Ah, se ancora non l'ho detto, è ovviamente Nico la protagonista del film, è lei la daonna a cavallo nel cerchio di fuoco., e quel bambino che cammina è il suo vero figlio, Ari Delon.

Ma non è stato questo il mio primo incontro con Nico.

Da sempre la mia anima musicale fluttua felice tra certo pop bizzarro (Beatles 66/67, fFoyd barrettiani, le lande di Cartembury più lievi e folli, il primissimo Brian Eno) e un luminoso e dolcissimo psico/folk da cameretta incline alla malinconia (Nick Drake, il Barrett in solitaria, Tim Buckley, certe ballate crimsoniane).

Nico, per me, fanciullino pre/punk e pre/wave, se ne stava assai bene in quella compagnia, specie per la vocina, spenta e graziosa, che esibiva in “I'll be your mirror", brano minore, quasi una Cenerentola, del disco forse più influente dell'intera storia del rock.

In quel disco c'era anche “All tomorrow parties”, brano stranissimo e sinistro, impossibile a descriversi, dove Nico, per la prima volta, prendeva le misure di quel declamare algido e severo che da qui in avanti sarà solo il suo,

Una vocina (quella di I'll beyour mirror) e una voce (quella di “All tomorrow parties”): diversissime tra loro ma, accomunate, da una specie di freakerie horror, esistenziale e dall'essere entrambe un enorme valore aggiunto per le macabre e torbide atmosfere del disco.

Quelle due voci sono presenti anche in desertshore, fragile e quasi infantile l'una, dolente e misteriosa l'altra. A volte sono insieme nello stesso momento, come in “My only child”. Un suono scarno ed essenziale, quasi un abc della sofferenza, le accompagna.

I primi due brani sono caratterizzati da una solennità ipnotica e da una tensione quasi soprannaturale, al limite del sostenibile.

“Janitor of lunacy”, precipizio e vortice, picco di vertigine...ma tutto è come in equilibrio, l'equilibrio che serve per reggere parole assolute (“custode della follia, paralizzi la mia infanzia, pietrifichi la culla vuota...” “custode della tirannia, attesta la mia vanità sopporta la mia gelosia, riconosci il bisogno disperato”).

“The falconer”, organo tumultuoso, sferzate di piano a scandire il canto, evocazione di un mistero, di una figura magica. Poi, d'improvviso, cessano sferzate e tumulto, e quel che resta è una filastrocca infantile, mentre un pianoforte dolciastro e sbarazzino imita un carillon: un brivido, il ritorno della vocina di “I'll be your mirror” e se non proprio quella, una sua stretta parente...poi di nuovo le sferzate...

In “Le petit chevalier”, un minuto e poco più, canta Ari Delon, il bambino del film, accompagnato da uno straniante clavicembalo. E' un vero e proprio colpo di teatro, chi l'ha paragonato all'apparire delle gemelline in “Shining”, non ha sbagliato di molto.

Nella seconda facciata ci sono due brani cantati in tedesco: “Abschied” e “Mutterlein”, i più severi e dissonanti del disco.

Poi due incredibili capolavori...

“Afraid”, una semplice ballata, dove la vocina, quella vocina, è protagonista assoluta. “Afraid”, il titolo, dice tutto...”You are beatiful and you are alone”, il ritornello, pure...

“All that is my own” è l'esplosione dove tutta la tensione accumulata nei brani precedenti si scarica, la strumentazione si arricchisce (gong, trombe e chissà cos'altro) e il delirio vola altissimo su un ritmo orientaleggiante da .musica tribale dell'anima.

Il disco dura meno di mezz'ora, meglio così, che oltre non si può andare.

Produce Joe boyd, insieme a Cale a cui va ovviamente molta parte del merito. Doveva essere in stato di grazia in quel periodo, visto che, più o meno contemporaneamente, arrangiava “Nortern Sky” e “Fly” due delle canzoni più belle di Nick drake.

Ah, i dischi di Nico sono tutti fantastici, tranne forse “Drama of exile”. Gli altri ascoltateli tranquillamente, non ve ne pentirete.



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