Uno degli aspetti che più mi affascinano e mi fanno amare platonicamente questa Donna fuori dal comune è senza dubbio il suo passionale dinamismo, una continua ed inesauribile voglia di reinventarsi che si riflette per tutto il corso della sua carriera; quando Nina decide di intraprendere una nuova direzione ci si dedica completamente, ci si butta a capofitto senza guardare in faccia a nessuno; non tutti possono, lei sì, semplicemente perchè è Nina Hagen, mentre molti altri hanno impostato il loro percorso su continue ripetizioni o nel tentativo di cambiare direzione si sono miseramente bruciati lei può vantarsi di non aver mai fatto un disco che suoni come una copia del precedente, il tutto senza mai svendersi e rimanendo fedele a sè stessa. Semplice questione di carisma e un po' di "faccia tosta", non c'è molto altro da aggiungere. Nel 1983 arriva la sua prima, vera drastica svolta, con un piccolo aiuto nientemeno che da Giorgio Moroder: "Angstlos", "Fearless", senza paura, oltre gli sfoghi esplosivi "Unbehagen" e le schizofrenie di "NunSexMonkRock", un bel disco spudoratamente pop, sgargiante, pacchiano, divertentissimo, sagacemente autoparodistico, in cui la personalità dissacrante di Nina Hagen si integra alla perfezione in quel bizzarro ed inconfondibile contesto generalmente catalogato come anni '80, al punto tale da diventarne a mio avviso uno standard, un perfetto esempio di eccellenza.

Tanto per cominciare, ad accogliervi nel magico e coloratissimo mondo di "Fearless" troverete uno dei brani simbolo del repertorio di Nina Hagen, forse il suo exploit più conosciuto insieme a "Smack Jack", ovvero la maestosa "New York, New York", in cui la Diva berlinese fa sfoggio delle sue innate doti di trasformista recitando alla perfezione la parte di una ricca ed annoiata sessantenne in cerca di avventure per i nightclub della Grande Mela, non mancando di ricordare a chi mai se lo fosse dimenticato le sue doti vocali da cantate lirica mancata nel ritornello e proponendo il tutto in una godibilissima salsa funky/urban. Fenomenale è l'unico aggettivo adeguato a descrivere una Nina in tale stato di grazia, anche perchè questo è solo l'inizio, "Ferless" infila una combinazione di straordinarie melodie pop senza mai sbagliare un colpo, "I Love Paul" con un esilarante coretto "Hare Krshna Hare Rama" infilato con assoluta naturalezza e disinvoltura in un funky leggero e frivolo, il synth pop minimale di una visionaria "Flying Saucers", la risposta made in Hagen a "Video Killed The Radio Star" in quanto ad efficacia e perfezione melodica, che abbondano anche in "The Change", che riprende alcuni clichè pacifisti, hippie e new age rimescolandoli in una straordinaria e deliziosa pop song, arricchita da qualche improvvisazione yodel ed una citazione reggae nel finale. Nina è fatta così, le piace mischiare le carte in tavola, provare nuove strade, confondere gli ascoltatori occasionali, e nel lato B di "Fearless" ci mette dentro un po' di tutto, un po' di rap in "What It Is", il suo falsetto stralunato nell'orientaleggiante "Silent Love", new wave in "T.V. Snooze", che raccoglie idealmente il testimone di "Born In Xixax", pop punk imbastardito a suon di synths in "Springtime In Paris", esilarante collezione di stereotipi francesi snocciolati con un piglio ed uno charme da ubriaca fradicia. Questa è la Nina che adoro, e che per chiudere in grande stile scopre la Marlene Dietrich che è in lei in un enigmatico pastiche barocco come "Zarah", conturbante e visionaria fusione tra antico e moderno, cori operistici e lieder d'anteguerra contaminati da pulsazioni discotecare; questa è la ricetta per un altro grande cavallo di battaglia, più volte ripreso in varie raccolte, anche in versioni remixate che tuttavia non eguagliano l'atmosfera e l'eccentricità dell'originale.

La mano di Giorgio Moroder si sente tantissimo, è determinante nella perfetta riuscita dell'album, ma "Fearless" è senza dubbio un disco di Nina Hagen al 100%, lo confermano i tanti marchi di fabbrica, le sue piccole "ossessioni" che ascoltandola si impara a conoscere, i dischi volanti e l'induismo, la presenza "subliminale" di David Bowie, che aleggia come un fantasma tra uno "station to station" e uno "scary monsters" piazzati strategicamente nei testi. E poi ovviamente c'è quella sensazione di libertà che da sempre la rende unica, fin dai tempi di "Du Hast Den Farbfilm Vergessen", la genuina sincerità, senza troppe moine, diretta come una freccia, di una Donna per cui "express yourself don't repress yourself" non è l'ennesimo slogan da ostentare ma una regola di vita. E quando, come del resto per tutti i veri grandi artisti, l'arte si intreccia con la vita ad un livello profondo allora i grandi capolavori vengono da sè.

Carico i commenti... con calma